Venerdì sera, alla sala polifunzionale della Parrocchia di Nove, Umberto D’Anna ha tenuto, davanti ad una platea interessata e partecipe,  la presentazione dei suoi libri, “In un cerchio di vita” (2009) e “Nero su bianco” (2015), sui temi della disabilità e della solidarietà.

La manifestazione, che faceva parte di un calendario di iniziative benefiche promosse dall’associazione culturale “Sinergie 2023”, era stata pensata anche come una raccolta fondi per la costruzione di un ascensore nel centro parrocchiale di Nove, e infatti tutti i proventi sono stati destinati a questo scopo.

“Nella nostra parrocchia – spiega Stefania G. , catechista ed organizzatrice dell’evento – ci sono tanti bambini ed adolescenti che presentano difficoltà motorie, e per questo ben dieci associazioni, si sono attivate per poter quanto prima risolvere il problema dell’accesso alle aule dedicate al catechismo e ad altre attività ricreative e di socializzazione. Vogliamo far sentire a tutte queste persone che la nostra casa è anche la loro casa, che i loro problemi sono anche i nostri.”

A posteriori l’autore, che prima non aveva concesso anticipazioni proprio per attirare con la curiosità un  pubblico più numeroso, ha commentato ai nostri microfoni: “Penso che la disabilità e, più in generale la solidarietà sociale, sono temi che dovrebbero venire portati alla ribalta più spesso dalle istituzioni religiose, ma anche laiche. Del resto, che i  rapporti umani siano un fattore della qualità della vita di un paese, è un fatto acquisito anche dall’Istat, che, nel suo “Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile” (2013), ha per la prima volta incluso fra i  parametri di valutazione, al di là degli aspetti economici, anche la positività delle relazioni sociali. Sto dicendo che parlare dei problemi umani delle nostre comunità e attivarsi per alleviarli sarebbe un fattore di miglioramento per la vita di tutti, anzi soprattutto di coloro che questi problemi cercano – fingono – di ignorarli. Ti senti più sicuro se sai di vivere in una città dove troveresti aiuto ed umanità se ti capitasse di averne bisogno. Peccato che le autorità si ricordino di questi aspetti solo in campagna elettorale…”

E questa è stata infatti la tesi centrale dell’incontro di venerdì sera: che parlare di handicap e solidarietà fa bene, non solo e non tanto ai disabili e alle loro famiglie, ma soprattutto agli “altri”, a coloro che sono chiamati a fare qualcosa per loro.

Una critica esplicita è andata anche alle istituzioni che si occupano di handicap, accusate dell’autore di “tradimento”, in quanto spesso strutturate in modo da offrire il loro affiancamento ai soggetti con disabilità solo minorenni, lasciando poi le famiglie sole a gestire il problema, ugualmente e forse anche più grave, dei portatori di handicap adulti. 2 pre d“Se decidi che il bene di quella persona è anche il tuo bene – ha rimproverato D’Anna – non puoi darti una scadenza”. Un ringraziamento è andato invece a quegli operatori che sanno “svincolarsi dalle istituzioni”, per continuare a sentire che quei bambini, “nati dalle loro mani”, sono come figli e, si sa, un genitore non abbandona mai la propria prole.

Quanto alle barriere architettoniche, lo scrittore non si è fatto scrupoli nel definirle pessimi esempi di “omissione”. Dimenticarsi di un’azione da compiere equivale a  fare un’azione cattiva, se a farne le spese sono persone indifese, che, per giunta, si  trovano esposte alla vergogna di dover chiedere come un favore un aiuto in realtà dovuto, e che magari si chiudono in se stesse, ottenendosi anche la nomea di “asociali”.

“Che le perfino le istituzioni arrivino a dimenticarsi di una parte della comunità che le ha incaricate, e non di una parte modesta, se si considera, oltre  al mondo dell’handicap, anche quello della terza età, è davvero gravissimo – conclude Umberto D’Anna – eppure succede ancora troppo spesso. Tutelare le minoranze non significa agire in nome di un gruppo, bensì conservare una visione di tutta la propria comunità di riferimento”

Come ormai consueto, Umberto ha voluto dare al pubblico “un pugno e una carezza”, lasciandolo, dopo i dovuti ringraziamenti a don Stefano e alla sua invidiabile comunità parrocchiale, con la canzone, intonata dai propri bambini e nipoti, “Si può dare di più”, cui si è unita una platea commossa ed entusiasta, per qualche attimo fiduciosa nella possibilità di realizzare tante promesse di un futuro più attento e più “a misura d’uomo”.

P.V.

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