E’ mancato ieri Lelio Zoccai, ultimo prigioniero dei lager russi e fondatore della storica azienda di gioielli. Figura di spicco nel panorama thienese, a 93 anni (compiuti lo scorso 9 gennaio) ha portato via con sé un ricco album di memorie lasciando in città una traccia indelebile di ricordi storici e conviviali degni di un personaggio di primo piano.

 

Da tempo a Thiene non si vedeva più passeggiare quel signore alto ed elegante, con la giacca di renna e lo sguardo fiero e la sua assenza si era notata quanto si notava la sua presenza.

Thienese doc, Zoccai ha vissuto in prima persona la Seconda Guerra Mondiale fino a trovarsi deportato e prigioniero in Russia. ‘Sono passati 70 anni da quando sono rientrato – aveva commentato Lelio Zoccai lo scorso 26 gennaio ricordando la Battaglia di Nikolajewka – e ogni notte la mia mente torna agli incubi per la lotta che facevamo per sopravvivere e al ricordo dei miei compagni morti di stenti o di gelo’.

Anche se la vita dopo la guerra è stata generosa con lui sia nel calore della famiglia che dal punto di vista lavorativo, Zoccai in città si ricorda come un uomo semplice e schivo, un lavoratore incallito dal sorriso gentile.    

Sui difficili momenti del conflitto in Russia Zoccai ha scritto un libro di memorie che evidenziano le condizioni proibitive a cui è stato sottoposto e che hanno contribuito ad arricchire il suo carattere di uomo. ‘Avevamo freddo – ha spiegato nel suo libro ‘Prigioniero in Russia’ – perché indossavamo scarponi e mantellina al ginocchio, mentre i russi avevano stivali di feltro e cappotto lungo fino ai piedi. Il cappotto con la pelliccia a noi  l’hanno distribuito dopo, ma non aveva la cintura e svolazzava al vento’.

Esperienze toccanti, a cui solo la guerra può sottoporre un uomo. ‘Credo di non aver mai corso così velocemente – ha raccontato – erano poche decine di metri ma, nonostante il freddo, grondavo di sudore per la paura e la neve ribolliva per gli spari’.   

Zoccai fu catturato una prima volta e riuscì a fuggire, per poi finire una seconda volta nelle mani dei nemici il 28 gennaio 1943. Riassumiamo dal suo libro: ‘Pesavo quarantasei chili. Non avevamo niente, solo tanta fame e freddo. Nessuna distribuzione di cibo, nessuna assistenza, eravamo abbandonati a noi stessi. Non c’era solidarietà. Sul pavimento c’erano feriti e uomini congelati e chi cercava posto per sdraiarsi calpestava chi era impossibilitato a muoversi. Finii in ospedale perché per vincere i morsi della fame mi sono cibato di un’erba grassa. Un soldato e una dottoressa anziana mi dettero la zuppa con il pomodoro. Da tanto non ne mangiavo e mi sembrò una cosa straordinaria perfino annusarne l’odore’.

Un toccante ricordo della prigionia di Zoccai riguarda un passerotto, un amico particolare che gli ha tenuto compagnia nel carcere di Rossoš’ fino a quando i russi hanno preso l’uccellino convinti che fosse una spia. ‘In carcere avevo un passerotto, un amico particolare che i russi mi hanno portato via facendomi stare male per parecchi mesi. Quando ci ripenso ci sto male anche adesso, nel ricordare. Quel passerotto era un compagno per me. Il mio compagno di cella. Mi seguiva e prendeva le briciole di pane dalle mie labbra. I sovietici l’hanno portato via da me e durante un interrogatorio capii il perché. Quelli dell’Nkvd mi dissero che avevo addestrato un passero per mandare messaggi agli altri prigionieri’.

I funerali di Lelio Zoccai saranno celebrati nel Duomo di Thiene giovedì 24 aprile alle 15.30. 

 

Anna Bianchini

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