Interculturalità come cambiamento di prospettiva da parte di tutte le culture coinvolte, non solo di quella straniera, ma anche di quella autoctona. Mediazione culturale come risorsa di innovazione.

E’ terminato ieri, il secondo corso di formazione etnoclinica per operatori e mediatori organizzato dal consultorio familiare dell’ Ulss 4 sull’approccio etnoclinico nella presa in carico delle famiglie straniere.

E’ un’iniziativa importante se si considera che nel territorio dell’Ulss 4 sono presenti 19.000 immigrati che rappresentano il 10% della popolazione; 2350 di loro sono minori di 14 anni. Provengono da almeno 140 etnie diverse di cui le maggiori sono, nell’ordine: quella marocchina, con 2692 unità, la rumena, con 2195 unità, la serba, con 2053 unità, la bengalese, con 1676 unità e la moldava con 1275 unità.

 

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Negli ultimi due anni, due sono stati i corsi di questo tipo attivati grazie ai finanziamenti della Regione Veneto. Partono dalla premessa che, per poter instaurare un rapporto positivo e costruttivo con le comunità etniche “altre,” è necessario imparare a “guardare con occhi diversi” tematiche come prevenzione, sanità, utilizzo dei servizi Ulss, ma anche pratiche legate alla loro cultura, come le mutilazioni genitali femminili. Bisogna imparare a co

mprendere, non a stigmatizzare, se si vuole incontrare le etnie lontane da noi, anziché generare in loro chiusura e rifiuto.

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Ecco perché il tema scottante del primo corso, le pratiche di mutilazione dei genitali femminili, appunto, come

 per scegliere fin da subito un approccio d’urto, per scuotere le convinzioni del nostro universo culturale. I corsi, curati da Gabriel Maria Sala, direttore del Master in Mediazione Culturale dell’Università degli Studi di Verona, con l’inte

Come a dire che dobbiamo essere noi a muovere il primo passo, se vogliamo che questi mondi si aprano a noi, che dobbiamo mostrare rispetto e delicatezza nei confronti delle loro radici culturali, se vogliamo chiedere loro riguardi e attenzione per le nostre proposte a loro rivolte.rvento di Susanna Venturelli, docente nel Master e di esperti, hanno assunto così un taglio innovativo ed originale, volendo sortire l’effetto di “rieducare” prima il modo di guardare degli operatori coinvolti, e solo poi intervenire per loro tramite in correzione di aspetti di malfunzionamento del sistema di vita delle etnie che si rivolgono ai Servizi.

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Ecco perché si sente l’esigenza di avviare la sperimentazione di una “Clinica transculturale”, uno spazio dove gli operatori siano in grado di accogliere e comprendere la complessità del vissuto dell’utente e i mediatori siano in grado di agevolare il personale socio-sanitario nel comprendere i concetti di salute e malattia, di cura e guarigione nella cultura d’origine della sua famiglia.

Secondo Alberto Leoni, direttore dei Servizi Sociali dell’Ulss 4: “Oggi per i nostri servizi si apre una prospettiva nell’incontro con le altre culture.” Sarà così possibile individuare “buone” soluzioni “terapeutiche”, ma anche instaurare relazioni positive non solo con gli utenti che si rivolgono alle strutture sanitarie e sociali, ma anche con le comunità.

di Redazione Thiene on line

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