Sono trascorsi dieci giorni dalla scomparsa di Alberto Filippi e gli amici ancora lo pensano in mezzo a noi.
Chi, come me, ha avuto occasione di conoscerlo nel vivo della sua professione, ne ha un ricordo molto vivo ed insieme caldo ed affettuoso.
Mentre ne parlo, mi sembra di averlo qui davanti a me, con la sua presenza cosi forte da non passare mai inosservata e con la sua voce nasale, con cui mi chiamava, sdrammatizzando, l'”uomo più sfigato della tre Venezie”.
Presenza importante, dico, perchè Alberto le sue responsabilità sapeva prendersele, e non lo faceva per protagonismo, ma per molto buon cuore.
Quando alla sua autoscuola mi sono presentato io, con la mia tetraparesi spastica e con i miei tentativi falliti di conquistarmi la patente, niente lo avrebbe portato a contrastare il mio destino, che ormai sembrava segnato, se non la sua incapacità di chiudermi la porta in faccia, di vedermi andare via con un altro “no”.
E nessuno poteva garantirgli che avrebbe avuto da me, ragazzo sfortunato al limite del parossismo, maggiori soddisfazioni che da uno degli altri mille, ai quali senz’altro avrebbe dovuto dedicare minore sforzo.
Non l’ho mai ripagato per aver trascorso con me la notte precedente l’esame, di domenica, a cercare un’auto attrezzata con i comandi speciali, arrivando fino a Venezia per averne in prestito una…allora fare la patente speciale era proprio “far west”!
Non l’ho ripagato, se non dedicandogli un capitolo del mio libro “In un cerchio di vita”, nel quale ho avuto la fortuna di poterlo presentare come una delle poche persone “contro corrente” rispetto all’handicap e ai limiti che esso talvolta incontra.
Ma, se ho capito bene la sua persona, avrà tratto soddisfazione dal poter seguire il proprio fortissimo intuito, che lo portava a ragionare sempre con la propria testa, a dispetto di tutti i pregiudizi e dei controsensi invalsi: Alberto non era uno che poteva parlare diversamente da come pensava; sentiva l’impulso a voler verificare di persona, dando a chi si sottoponeva al suo giudizio una possibilità di dimostrare il proprio valore “al buio”.
Ed io ringrazio la sorte di avermi fatto incontrare sulla mia strada una persona così, visto che, come spiego nel mio libro, avere una opportunità “al buio” è spesso, per chi è portatore di un handicap, l’unico modo di scrollarsi di dosso i pregiudizi che aggravano il peso della sua situazione.
Credo che in questi casi siano richieste persone autentiche, e tale mi è sembrato Alberto, non un superuomo, ma una persona con impropri limiti e i propri fallimenti, capace di essere ogni giorno se stessa e di mettersi in gioco, senza aver paura di sfigurare, perchè priva di quell’esagerato orgoglio che nasconde in realtà un carattere debole.
Quando si è giovani, incontrare delle persone così ti cambia la vita, diventano degli esempi umani, non solo degli insegnanti, ma degli educatori.
E lasciano nella tua vita di adulto un segno che non si cancella mai.
Umberto D’Anna foto di Alfonso D’Anna