Negli ultimi dieci anni ha chiuso i battenti una stalla italiana su cinque (20%) a causa dell’effetto combinato dei cambiamenti climatici, dei bassi prezzi pagati agli allevatori e dell’assedio degli animali selvatici. E’ quanto emerge dal rapporto ‘La Fattoria Italia a rischio crack’ diffuso dalla Coldiretti sulla base di dati dell’Anagrafe nazionale zootecnica in occasione di Sant’Antonio Abate, il Patrono degli animali, con il presidente della Coldiretti Ettore Prandini in piazza San Pietro a Roma dove per la tradizionale benedizione sono arrivate le razze più rare e curiose di mucche, asini, pecore, capre, galline e conigli, dalla mucca Marchigiana alla Pecora Sopravvissana, dalla capra Girgentana al Cavallo Tolfetano fino all’asino dell’Amiata. Una ricorrenza che vede in tutta Italia parrocchie di campagne e città prese d’assalto per la benedizione dalla variegata moltitudine di esemplari presenti sul territorio nazionale. Nel giro di un decennio, dal 2013 al 2023, sono scomparsi quasi 90mila allevamenti – sottolinea Coldiretti – di cui 46mila stalle di mucche, 31mila di maiali e 12mila di pecore. Un addio che – precisa la Coldiretti – ha riguardato soprattutto la montagna e le aree interne più difficili dove mancano ormai le condizioni economiche e sociali minime per garantire la permanenza di pastori e allevatori, spesso a causa dei bassi prezzi e per la concorrenza sleale dei prodotti importati dall’estero. Ma a pesare – continua Coldiretti – sono anche i cambiamenti climatici che tagliano la produzione di mais e foraggi per gli animali, tra devastanti siccità e ondate di maltempo, senza dimenticare la pressione degli animali selvatici che distruggono i raccolti nelle aree interne rendendo sempre più difficile e costoso sfamare i capi allevati. Un fenomeno che mette in pericolo l’intero patrimonio caseario tricolore con 580 specialità casearie tra 55 Dop (Denominazione di origine controllata) e 525 formaggi tipici censiti dalle Regioni.

Il venir meno della presenza degli agricoltori nelle aree interne e della loro costante opera di manutenzione del territorio rende – spiega Coldiretti – più devastanti gli effetti del dissesto idrogeologico e accentua la tendenza all’abbandono dei piccoli centri, con meno di 5mila abitanti, dove nel giro di un anno si è già registrato l’addio di oltre 35mila residenti, secondo l’analisi della Coldiretti sugli ultimi dati Istat relativi alla popolazione residente. Ma a rischio – denuncia la Coldiretti – è anche la straordinaria biodiversità delle stalle italiane che Aia (Associazione italiana allevatori) in collaborazione con Coldiretti vuole tutelare attraverso il progetto Leo, acronimo di ‘Livestock Environment Opendata’ con una grande banca dati sugli animali in pericolo. Ad esempio si stanno valorizzando ben 58 razze bovine per un totale di oltre 3 milioni e 130 mila animali, 46 ovine (oltre 52 mila e 800 animali) e 38 caprine (121 mila animali). L’allevamento italiano – continua la Coldiretti – è un importante comparto economico che rappresenta il 35% dell’intera agricoltura nazionale, per una filiera che vale circa 40 miliardi di euro, con un impatto rilevante dal punto di vista occupazionale dove sono circa 800mila le persone al lavoro sull’intera filiera. “Quando una stalla chiude si perde un intero sistema fatto di animali, di prati per il foraggio, di formaggi tipici e soprattutto di persone impegnate a combattere, spesso da intere generazioni, lo spopolamento e il degrado dei territori soprattutto in zone svantaggiate” ha ricordato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini.

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