Oggi mi chiamo Marta, solo per oggi. Oggi sono Marta, fidanzata di Luca che non c’è più. Luca non c’è dal 4 marzo dell’anno scorso, me l’hanno ammazzato come un vitello. No, peggio. Perché un vitello lo uccidi una volta e basta. Un vitello non lo torturi per ore, non lo filmi mentre agonizza, colpito dalla lama di un coltello in più parti del corpo, non parti vitali, perché se muore subito che piacere c’è.
Eravate drogati, ubriachi, dice la vostra difesa. E chi se ne frega. A me importa solo che il mio Luca non c’è più, perché due come voi che volevano provare l’ebrezza della tortura e dell’omicidio lo hanno preso e massacrato.
Oggi mi chiamo Marta, e vi dico che a me 30 anni di carcere chiesti dal Pm per uno tra voi (mentre per l’altro ancora non si sa) non bastano. Io spero che voi due passiate quel che resta della vostra povera, inutile, vita in carcere.
Oggi mi chiamo Giuseppe e Silvana, solo per oggi. Oggi sono due persone, Giuseppe e Silvana, papà e mamma di Luca. Luca morto per mano di due pervertiti che volevano provare nuove esperienze, e gli hanno aperto la gola perché nostro figlio urlava troppo mentre loro lo accoltellavano. Così con le corde vocali recise la finiva di rompere i timpani. Io, Giuseppe, ho visto solo parte dello scempio commesso sul corpo di mio figlio, e trovo impossibile perdonarvi. Io, Silvana, chiedo solo perché tanta ferocia? Noi, insieme, diciamo che 30 anni di carcere chiesti dal Pm per uno tra voi (mentre per l’altro ancora non si sa) non bastano. Noi speriamo che voi due passiate quel che resta della vostra povera, inutile, vita in carcere.
Io in realtà sono una semplice cronista di nera e giudiziaria. Una che di cose brutte ne scrive da tanti, troppi, anni. E ci si abitua, poi, alle cose brutte. Ma il delitto di Luca Varani, assassinato a Roma da Manuel Foffo e Marco Prato, e mentre uno colpiva con martello e coltello l’altro filmava, mi pare surreale. Surreale anche se c’è la confessione degli assassini. Luca, Manuel e Marco sembrano protagonisti di una delle più violente scene di un film di Tarantino, dove non c’è spazio per la violenza comune ma si sconfina nella ricerca sadica della tortura, del godimento viziato dall’atrocità del male inflitto. E non è attenuante il fatto che fossero sotto l’effetto di droghe, anzi, per la legge è un’aggravante. Per Foffo, l’accusa ha chiesto 30 anni, con il rito abbreviato; per Prato è da vedere, visto che ha chiesto l’ordinario. La difesa di Foffo ha sollevato la questione della incapacità di intendere e di volere per il proprio assistito. Una perizia medica, contenente analisi tossicologiche e psichiatriche, attesterebbe l’uso cronicizzato di alcol e droga.
Ma il gup potrebbe anche valutare il comportamento tenuto in carcere dal detenuto Foffo, pronto a chiamare in causa amici potenti, o ricattabili, pur di alleviare la vita dietro le sbarre (avrebbe gradito seguire sul posto un corso di buddismo). E poi, nell’apprendere che la famiglia Varani va risarcita, la lucida conversazione con il padre: “Meno male che non mi avete intestato nulla – dice quello con problemi psichiatrici -. Voi non dovete farvi carico di niente. Io sono nullatenente”.
Io sono una semplice cronista di nera e giudiziaria, ma fossi la fidanzata, il padre, la madre di Luca, 30 anni non mi basterebbero.
Patrizia Vita