L’industria è andata via solo in parte dai centri urbani in Europa e quello che si credeva un relitto del Novecento continua a caratterizzarne il tessuto economico con connotazioni nuove che le analisi tradizionali non riescono a intercettare. È quanto emerge dal progetto MISTA, realizzato dal programma di cooperazione europeo Espon, specializzato in analisi regionali.

All’interno di tali regioni, le città più grandi e densamente popolate sono luoghi fondamentali per la produzione industriale: qui 8,4 milioni di lavoratori industriali generano il 30% circa della produzione industriale europea. L’importanza delle aree metropolitane come sedi industriali non sembra essere diminuita nell’ultimo quarto di secolo: la percentuale dei lavoratori del manifatturiero impiegati nelle regioni metropolitane è calata solo del 3% dal 1995, a fronte di aumento della produzione industriale dell’1%.

“Le analisi tradizionali – spiega Valeria Fedeli, docente di pianificazione e politiche urbane al Politecnico di Milano – non riescono a cogliere questo quadro per diversi motivi. In primo luogo, fanno riferimento alla città principale e non all’area urbana circostante: se si allarga lo sguardo e si considera quest’ultima dimensione, ci si rende conto che l’industria è rimasta”. In altri termini, esiste una più stretta relazione funzionale tra i centri urbani e le aree circostanti che è alla base di un modello industriale più diffuso sul territorio.

“La manifattura, inoltre, è molto diversa rispetto al passato ed è caratterizzata da un’integrazione elevata con i servizi ed il terziario“, aggiunge Fedeli. In sostanza, per una parte di industria che è migrata, un’altra è arrivata e cerca nelle aree urbane la propria base di riferimento. Il nuovo tipo di industria urbana si basa sulla produzione creativa, personalizzata e ad alta intensità di conoscenza, ma non solo. “Ci sono settori fondamentali come la logistica urbana o la fornitura di servizi – acqua, energia, trattamento dei rifiuti, ad esempio – che funzionano come veri e propri settori manifatturieri avanzati”, spiega ancora la professoressa.

Un cambiamento di paradigma che ha un impatto anche sull’occupazione. “Chi lavora in questo tipo di industria non è più il colletto blu, ma è un lavoratore più specializzato, è difficile reimpiegare chi ha competenze diverse da quelle richieste dalla nuova manifattura. E questa – conclude Fedeli – rappresenta una delle maggiori sfide per le città, specie quelle con un grande passato manifatturiero”.

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