“Una al giorno per cinque giorni. Dopo, mezza al giorno per quattro giorni”. Avete capito, no? E’ una terapia, relativa all’assunzione di un farmaco prescritto al paziente. Ecco, adesso immaginiamola scritta così: “Un al dì par zincue dì, dopo mesa al dì par catro dì”.
Il significato è uguale, ma incomprensibile per chi non comprenda il dialetto veneto. Ma al dottor Riccardo Szumski, medico di famiglia e sindaco di Santa Lucia di Piave (Treviso), poco importa se quello che scrive non sia compreso da altri, al di fuori dei propri pazienti anziani.
Lui, perché sia comprensibile agli assistiti, che con la lingua italiana hanno scarsa dimestichezza, scrive la terapia utilizzando il linguaggio a loro più noto: il dialetto. O ‘lingua veneta’, come lo stesso medico ha asserito a più riprese, dopo che la foto di una sua prescrizione è diventata virale sul web.
Un idioma tanto antico quanto in pericolo di estinzione, finendo nel libro rosso dell’Unesco, tra le lingue romanze che rischiano di sparire. Una lingua non riconosciuta dallo Stato, ma per la quale la Regione non cessa di prestare l’attenzione, con tanto di legge propria, col “fine di favorire la conoscenza e la diffusione del patrimonio linguistico veneto”.
Trovandosi di fronte a pazienti con una certa età, che in veneto pensano e parlano, il medico Szumski stila ricette che siano a loro comprensibili. “Mesa al di par cuatro di, dopo te vien a controllo”, cioè “mezza al giorno per 4 giorni; dopo vieni a controllo”. Oppure lascia cartelli affissi all’uscio del suo studio, sempre in dialetto, per avvisare i pazienti.
Ma se sta bene a pazienti e farmacisti, il metodo Szumski piace meno all’Ordine provinciale, che ha chiesto spiegazioni al medico, in attesa di trattare l’argomento nel prossimo consiglio. Nessuna notizia in merito, inoltre, da parte dell’azienda sanitaria di riferimento. Suoi infatti i ricettari sui quali il medico prescrive farmaci e terapie in veneto.
In parziale difesa del camice bianco, però, arrivano i colleghi. Silvestro Scotti, segretario nazionale della Fimmg dice: “Se l’azione del collega vuole avere un significato di ulteriore autonomia non mi fa piacere. Se invece è un modo per far arrivare le informazioni al meglio al paziente potrebbe aiutare. Il medico – ricorda Scotti – ha l’obiettivo di dare al paziente, nella migliore capacità di comprensione, il messaggio corretto. Che però lo debba scrivere mi pare strano”.
Ma infine, c’è un articolo dell’Ordine che dice che il medico deve mettere in condizione l’assistito, che ha di fronte, di comprendere.
Non poche polemiche si sono levate contro Szumski, accusato a quanto pare di voler mettersi in mostra. Dal canto suo il camice bianco replica, sul proprio profilo facebook ed in italiano: “Il clamore suscitato dal fatto che scrivo le posologie delle ricette in Veneto mi lascia basito – continua – Quello che mi lascia a bocca aperta è che tutti mi chiedono perché dichiaro che il Veneto è una lingua. E quando lo spiegorestano loro a bocca aperta. Quando dico loro che con il 90 % dei miei assistiti parlo in Veneto come pure con i concittadini si stropicciano le orecchie”.
E se, prendendo spunto dal dotto Szumski, il fine ultimo di tutti i professionisti, giornalisti compresi, dovesse essere la comprensibilità dell’utenza, tutti dovrebbero avere la libertà di scrivere nel proprio dialetto regionale?
P.V.