di Valentina Ruzza
Nessuna sirena. Nessun titolo in prima pagina. Eppure, ogni giorno in Veneto, si compie un piccolo miracolo silenzioso: un cane dona il proprio sangue per salvare un altro cane. Succede in ambulatori veterinari, in sale d’attesa piene di guinzagli e speranza. Succede perché esiste una rete di famiglie che ha scelto di dire sì, anche per il proprio animale.
Si chiama donazione canina di sangue, ed è una realtà concreta: solo in Veneto, ogni anno, si eseguono oltre 400 trasfusioni per curare animali colpiti da incidenti, emorragie gravi, patologie tumorali, infezioni come la leishmaniosi. In molti casi, si tratta di gesti che fanno la differenza tra la vita e la morte.
I criteri sono rigorosi: possono donare solo i cani in perfetta salute, tra i 2 e gli 8 anni, con un peso minimo di 25 chili, esenti da malattie infettive e parassitarie. Non è una procedura improvvisata: la donazione avviene sotto controllo medico, senza anestesia, e dura pochi minuti. Al termine, una coccola e un controllo gratuito di routine.
Ma la vera ricompensa è altrove: sta nello sguardo di chi sa che un gesto semplice ha salvato una vita. In un Paese dove non esiste ancora una banca del sangue veterinaria nazionale, tutto dipende dalla prontezza e generosità dei singoli. E in questo, il Veneto si sta distinguendo per lungimiranza e senso civico.
L’Università di Padova e diverse cliniche private stanno già tracciando un modello organizzativo che punta a creare elenchi di donatori stabili, da attivare nei casi di emergenza. È una medicina che funziona anche fuori dagli algoritmi: una medicina che si fonda sulla cura reciproca, sull’ascolto e sul tempo donato.
E in tempi in cui la solidarietà sembra un’eccezione, sapere che a darne prova sono anche gli animali, è forse il segnale più bello: non c’è bisogno di parole per fare qualcosa di buono. Basta un cuore che batte. E un veterinario pronto a raccogliere quel battito.
