«Se sei nero, pensano che fai il lavapiatti. Invece sono lo chef.» Non è una provocazione. È la realtà raccontata con disarmante lucidità da Bamba Diop, 24 anni, senegalese, oggi capo chef in un agriturismo immerso nel verde delle Marche, vicino a San Benedetto del Tronto. Un presente conquistato a forza di notti insonni, mestoli consumati e sogni tenuti a galla tra ostilità e barriere invisibili. Il suo arrivo in Italia risale a otto anni fa. Era un ragazzino, sedici anni appena. È sbarcato su un barcone, da solo. Nessun parente, nessuna rete. Solo un’idea di futuro. Quel viaggio, duro e drammatico, somiglia terribilmente a quelli raccontati nel film Io Capitano di Matteo Garrone. Ma Bamba non è un personaggio di fiction. È uno dei tanti che ce l’hanno fatta, silenziosamente. Appena arrivato ha vissuto in un centro per minori stranieri. Ha cominciato dal basso, come tutti: “Lavavo piatti, pelavo patate, pulivo pesce. Ma osservavo tutto. Rubavo con gli occhi.” Quegli occhi oggi sorridono, ma dentro portano anche il peso della strada fatta. Poi la svolta: tre anni come pasticcere in un ristorante stellato, esperienza che gli ha dato rigore, tecnica e una consapevolezza nuova. “È lì che ho imparato che la cucina italiana è una lingua che va rispettata, ma che puoi anche parlare con il tuo accento.” E Bamba quell’accento ce l’ha. Si sente nei suoi dolci, nel suo tiramisù diventato celebre tra gli ospiti dell’agriturismo. “Gli ingredienti sono gli stessi, ma quando lo assaggi dici ‘wow’. Il segreto? L’equilibrio. Come nella vita.” Da gennaio è stato assunto a tempo indeterminato come capo chef. Vive nello stesso casale dove lavora, in un appartamento che divide con la moglie, anche lei senegalese, conosciuta in Italia. Oggi si occupa della preparazione di dolci e gelati. “Lavoriamo insieme. È la mia metà anche in cucina.” Ogni giorno guida una brigata, coordina fornitori, imposta menù. Eppure, spesso, al primo incontro, molti lo scambiano per un aiutante. “Quando mi presento come lo chef, qualcuno rimane sorpreso. Ma poi assaggiano. E cambia tutto.” Non ha voglia di fare polemica, Bamba. Non cerca rivincite. Cerca rispetto. “Non voglio essere un’eccezione. Vorrei che un giorno, un ragazzo nero in cucina non facesse più notizia. Che essere uno chef fosse normale, punto.” E forse, tra una portata e l’altra, quel cambiamento lo sta già cucinando lui. Perché in fondo ogni piatto racconta chi siamo. E quello di Bamba racconta molto più di una ricetta: è un messaggio. Conquistato a mani nude, ma servito con delicatezza.
Fonte – Corriere della Sera del 27 giugno 2025
