Istituire la specializzazione universitaria in medicina generale come formazione post laurea al pari di tutte le altre specializzazioni mediche. E’ la strada che indica una proposta di legge statale approvata oggi dal Consiglio regionale del Veneto. La proposta legislativa interviene sui corsi di formazione specifica di Medicina generale inserendoli in modo strutturato nell’ambito dell’Università con l’istituzione in ogni Ateneo del Dipartimento integrato-Servizio sanitario regionale mediante un decreto del ministro dell’Università e della Ricerca di concerto con quello della Salute e d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, sentita la Federazione nazionale degli Ordini dei medici. L’iter di formazione prevede poi che possa essere utilizzata la rete formativa delle Aziende sanitarie per i tirocini affidandone l’articolazione a intese tra ministero dell’Università e della Ricerca, della Salute e le Regioni. Ma c’è anche la modifica della denominazione (in un nuovo e specifico corso) da “Medicina generale” a “Medicina generale di comunità e cure primarie” per valorizzare il ruolo del medico di medicina generale, di comunità e cure primarie. L’inserimento del corso di specializzazione in “Comunità e Cure primarie” nell’ordinamento universitario ha l’effetto di “equiparare gli specializzandi in questa disciplina a tutti gli altri specializzandi anche per quanto riguarda le borse di studio”. Inoltre, si prevede che l’ordinamento degli studi sia determinato da un’intesa tra i ministeri dell’Istruzione, dell’Università, della Salute e le Regioni, sentita la Federazione degli Ordini dei medici. Infine, per valorizzare il corso di specializzazione, se ne porta la durata a quattro anni, introducendo anche un’apposita disciplina transitoria.

In Consiglio regionale del Veneto la proposta è stata portata dalla vicepresidente della commissione sociosanitaria Anna Maria Bigon (Pd), e sottoscritta da consiglieri di maggioranza e minoranza. Il progetto di legge statale nasce per “compiere un primo passo verso una riforma strutturale- ha detto Bigon- riconoscendo a pieno titolo la specializzazione in medicina generale come una formazione specialistica post laurea universitaria, alla pari di tutte le altre specializzazioni mediche, un riconoscimento doveroso che non è soltanto formale, ma che investe l’intera architettura formativa e organizzativa del sistema sanitario territoriale”. Non si può “che essere d’accordo- ha detto l’assessore regionale Manuela Lanzarin- perché siamo tutti consapevoli che oggi la vera sfida è quella della medicina territoriale e la necessità di riformare questo istituto”. Il medico di famiglia è “il primo e spesso unico presidio sanitario a disposizione dei cittadini, soprattutto nelle aree interne e periferiche”. Ma oggi in Veneto il 41% delle borse di formazione in medicina generale rimane scoperto, con 102 posti vacanti su 248. Entro il 2025 si prevede un saldo negativo tra pensionamenti e nuovi ingressi di 156 medici. Oggi si contano 1.943 incarichi vacanti, e tra 2020 e 2024 si è perso l’11% dei medici di base. Eppure sono richiestissimi: nel 2023 si sono contati in Veneto 38 milioni di accessi ambulatoriali e quasi 200.000 visite domiciliari. Se non si investire su questa figura, “la sanità di prossimità rischia di fallire”, avvisa Bigon: “Ora il Parlamento faccia la sua parte”. Il capogruppo di Fdi Lucas Pavanetto loda una proposta che può dare “ricadute il più possibile utili sul complesso mondo della sanità territoriale. Il Veneto intende dare la sua collaborazione forte dell’esperienza e del buon governo che questa maggioranza ha saputo dare al sistema sanitario veneto”.

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