Altro che ragazzi svogliati. Altro che vacanze passate a scrollare. Nell’Alto Vicentino, per sei settimane, 360 adolescenti dai 14 ai 19 anni si sono rimboccati le maniche e hanno restituito bellezza ai luoghi che abitano ogni giorno. Non lo hanno fatto per obbligo. Non per noia. Lo hanno fatto perché avevano voglia di esserci. Di lasciare un segno. Di imparare che anche una panchina può raccontare chi sei, se la sistemi con le tue mani. È questa l’anima del progetto “Ci sto? Affare Fatica!”, promosso da Cooperativa Sociale Radicà con il sostegno di 14 Comuni del territorio, BCC Veneta e numerosi sponsor. Un esperimento riuscito di cittadinanza attiva che, dal 23 giugno al 1 agosto 2025, ha trasformato le mattine d’estate in un laboratorio di vita condivisa, tra pennelli, trapani, parchi da risistemare e spazi pubblici da restituire alla comunità. Ogni Comune ha avuto la sua storia. A Zugliano i gradoni dell’anfiteatro sono diventati opere d’arte urbana. A Breganze sono rinati i muri della palestra e la ringhiera dell’asilo di Mirabella.

A Thiene le scuole medie Bassani hanno cambiato volto. In tutti i paesi, luoghi dimenticati si sono fatti vivi, colorati, attraversati da voci giovani e mani operose. Non sono stati soli. Accanto a loro, 21 tutor (giovani formati dai 20 ai 30 anni) e 43 volontari adulti, i cosiddetti handyman e handywoman, che hanno insegnato mestieri, offerto ascolto, condiviso merende e racconti. È nata una rete invisibile ma fortissima, un ponte tra generazioni, dove chi ha più esperienza ha scelto di trasmetterla senza giudicare, e chi ha meno anni sulle spalle ha accolto la sfida con grinta. I numeri parlano chiaro: 30 aziende sponsor, 23 negozi coinvolti per i buoni fatica, 14 Amministrazioni comunali che hanno creduto nel valore educativo del progetto. Ma sono i racconti, più dei numeri, a restituire l’impatto vero. “Mi sento parte di qualcosa di utile”, ha raccontato una delle partecipanti. “Abbiamo lavorato tutti insieme, per il bene di tutti”, ha aggiunto il suo compagno . Nei loro occhi, alla fine della settimana, c’è orgoglio, c’è consapevolezza, c’è futuro.

E anche i genitori si dicono stupiti. I figli tornano a casa più maturi, meno distratti, capaci di raccontare ciò che hanno fatto non con noia, ma con fierezza. Molti hanno stretto nuove amicizie, imparato a lavorare in gruppo, scoperto abilità manuali che non sapevano di avere. Alcuni hanno aiutato compagni in difficoltà, dimostrando che inclusione non è solo una parola nei progetti, ma qualcosa che si può praticare sul campo. La comunità ha risposto. C’è chi ha ringraziato, chi ha lasciato una spremuta fresca, chi si è fermato a chiacchierare. Gli adulti volontari hanno scoperto che il divario tra generazioni è molto più sottile di quanto si pensi. “Pensano in modo diverso da noi, ma hanno buone idee”, ha detto un nonno-handyman. “Lavorare con loro mi ha dato energia”, ha aggiunto un altro.

La verità è semplice: “Ci sto? Affare Fatica!” funziona perché è reale. Non è una vetrina, non è un progetto scritto a tavolino per far bella figura. È una comunità che si sporca le mani per crescere insieme. Dove i giovani non sono più solo “il futuro”, ma il presente attivo di un territorio che vuole rinascere partendo dalle cose piccole. E allora sì, questa fatica è un affare. Un affare buono, utile, giusto. Un affare di cui abbiamo tutti bisogno.

V.R.

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