Un innocuo gesto salutista può costare una vita.
Il caso del bimbo bellunese di 15 mesi ricoverato in gravi condizioni a Padova dopo aver mangiato formaggio a latte crudo riaccende l’allarme degli esperti: il consumo di latte non pastorizzato e dei suoi derivati può essere estremamente pericoloso, soprattutto nei bambini piccoli. Eppure, complice una certa tendenza salutista che associa il “naturale” al “sano”, la diffusione di questi prodotti cresce. Ma a quale prezzo?
Il bambino è stato colpito dalla Sindrome emolitico-uremica (SEU), una grave complicanza renale causata da un ceppo particolarmente aggressivo di Escherichia coli (StEC), un batterio presente naturalmente nell’intestino dei bovini. Lo stesso batterio è stato individuato in altri due casi nel Bellunese nell’ultimo anno. Uno di questi, avvenuto nel novembre 2024, coinvolse una bambina colpita dopo aver consumato formaggi acquistati a Cortina.
Le indagini sono in corso. L’Usl Dolomiti, in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico delle Venezie, ha prelevato campioni nei locali frequentati dalla famiglia del piccolo, tra cui ristoranti e feste di paese, per cercare di risalire all’alimento contaminato. I primi test sono risultati negativi, ma l’allerta resta alta.
Una minaccia silenziosa, ma non rara
Secondo il Registro Italiano SEU, si registrano ogni anno tra 60 e 70 casi nei bambini sotto i 5 anni, con un tasso di mortalità che può arrivare al 15%. Almeno il 15% di questi casi è legato al consumo di latte crudo o suoi derivati.
Impossibile dimenticare la storia di Mattia Maestri, il bambino trentino che nel 2017, all’età di quattro anni, entrò in coma dopo aver mangiato un formaggio contaminato. Da allora vive in stato vegetativo, con 40 crisi epilettiche al giorno, cieco e totalmente dipendente dai macchinari. «La speranza è morta otto anni fa», racconta oggi il padre Giovanni Battista. «Abbiamo solo prolungato la sua agonia.»
«Il latte crudo non è un alimento per bambini. Punto e basta», aveva dichiarato nei mesi scorsi anche il virologo Roberto Burioni. Un’affermazione netta, condivisa dal dottor Mattia Doria, presidente della Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP) del Veneto: «Si è diffusa la falsa convinzione che un alimento naturale sia automaticamente più sano. Ma nei bambini, soprattutto nei più piccoli, il sistema immunitario, renale ed epatico non è ancora pronto a fronteggiare certi rischi.»
Il problema, sottolineano i medici, è la mancanza di consapevolezza. Molti genitori scelgono il latte crudo o i suoi derivati pensando di fare una scelta più “genuina”, ma ignorano i rischi microbiologici. «Negli ultimi anni si è cercato di avvicinare l’alimentazione del bambino a quella della famiglia – spiega Doria – ma questo non significa rinunciare alla prudenza. Anzi: è proprio nei primi anni di vita che la sicurezza alimentare dev’essere massima.»
Paradossalmente, aggiunge, «i più attenti sono spesso i genitori vegani, che pur facendo scelte radicali, si informano molto e adottano cautele precise».
Le nuove regole: etichette più chiare e controlli più stretti
Per rafforzare la prevenzione, il Ministero della Salute ha pubblicato lo scorso luglio nuove linee guida per il controllo dell’Escherichia coli nel latte non pastorizzato. Si tratta di un documento elaborato da un tavolo tecnico composto da esperti ministeriali, dell’Istituto Superiore di Sanità, degli Istituti Zooprofilattici e delle associazioni di categoria.
Tra le misure principali: l’obbligo di etichette chiare, che segnalino se un prodotto è a latte crudo e se il produttore non è in grado di garantirne la sicurezza. Obiettivo: proteggere i soggetti più vulnerabili – bambini, anziani, persone immunocompromesse – anche quando questi prodotti si trovano in vendita non solo in malghe di montagna, ma anche in supermercati e negozi cittadini. L’Usl Dolomiti, dal canto suo, ha già predisposto cartelli di avviso al pubblico nei punti vendita e nei locali coinvolti nelle indagini.
Il caso simbolo: Mattia, otto anni in coma dopo un formaggio contaminato
La storia di Mattia Maestri, oggi 12 anni, è diventata il simbolo tragico dei pericoli legati al consumo di latte crudo. Era il giugno del 2017 quando, a soli quattro anni, Mattia mangiò un formaggio artigianale prodotto con latte non pastorizzato, contaminato da Escherichia coli. Da allora, vive in stato vegetativo permanente.
«Ha 40 crisi epilettiche al giorno, prende 47 farmaci, non ci riconosce, non ci vede, respira e basta», racconta con lucidità e dolore il padre, Giovanni Battista Maestri, che da allora combatte una battaglia non solo giudiziaria, ma anche pubblica, per ottenere una maggiore regolamentazione e un’informazione più chiara per i consumatori. Il caseificio responsabile – il Caseificio Sociale di Coredo, in Trentino – è stato condannato, ma la famiglia Maestri ha perso ben più di una causa legale: ha perso la speranza.
«Durante l’anno di ricovero a Padova volevo sospendere le cure, ma i carabinieri mi hanno minacciato il ritiro della patria potestà», ricorda oggi il padre. «Col senno di poi penso di aver sbagliato a cedere. Abbiamo solo prolungato l’agonia di Mattia.»
Il caso ha profondamente diviso anche i genitori sul piano etico. «Io ero contrario all’eutanasia, mia moglie favorevole. Oggi è il contrario: io sono favorevole, lei si è aggrappata alla fede. Ma ci confrontiamo ancora. Il dolore non è mai andato via, e ogni nuovo caso è un pugno nello stomaco.»
A otto anni di distanza, Giovanni Battista continua a lottare affinché altri genitori non si trovino nella stessa situazione. «Spero che almeno si arrivi a un’etichettatura trasparente, che dica chiaramente se un formaggio è a latte crudo e se è sicuro o no. Almeno così salviamo qualche vita.»
I.A.
