Solo l’1,4% delle attività imprenditoriali e professionali viene ‘visitata’ ogni anno dal fisco. Vuol dire che per quelli che vengono tecnicamente definiti controlli sostanziali viene controllata in un anno solo un’attività su 71. In termini temporali, con questi ritmi per completare la rotazione e fare un check su tutte le attività sarebbero necessari almeno settanta anni.

Ma talvolta scovare l’evasione non basta: già perché su 100 euro scoperti con le diverse tipologie di verifica alla fine solo 17-18 euro finiscono per essere incassati davvero. I dati, che tanto raccontano di un’evasione che appare sempre difficile da stanare, sono quelli contenuti nell’analisi che la Corte dei Conti ha effettuato sulle entrate pubbliche nei corposi volumi che accompagnano la relazione sul ‘Rendiconto Generale dello Stato’, in pratica sul bilancio pubblico.

Sulla frequenza dei controlli sostanziali – quelli per intendersi che vengono fatti con accessi e ispezioni, non su documenti cartacei – la valutazione è facile: “Risulta dunque del tutto evidente – afferma la Corte – come le probabilità di essere concretamente soggetti a controllo siano molto ridotte”. Sugli incassi reali, invece, la conclusione dei magistrati contabili è che sia “altamente probabile” la “correlazione a radicate aspettative di successive rottamazioni o al convincimento di poter eludere la successiva azione esecutiva”. Come dire, niente paura di sequestri o pignoramenti, tanto prima o poi una sanatoria arriva.

In tutti e due i casi il messaggio sembra essere inviato alla politica: uno, rinforzare gli organici; due, evitare condoni. Certo la lotta all’evasione è cambiata. Grazie alla tecnologia, la complessiva attività di controllo non si limita più alle sole ispezioni o verifiche presso le sedi dei contribuenti, come avveniva fino a pochi anni fa. E per le grandissime aziende – poche a dire il vero – c’è il tutoraggio, un affiancamento. Ma dei 9 milioni di contribuenti con attività imprenditoriali, autonome, professionali sono poco più di 129mila quelli che hanno sentito un ispettore suonare alla porta.

E “il rapporto tra la numerosità dei contribuenti e il numero dei controlli effettivamente eseguiti – evidenzia la Corte dei Conti – ha grande rilievo ai fini dell’effettiva deterrenza che l’azione di accertamento sostanziale esercita sul comportamento dei contribuenti medesimi”. Il rapporto indica indici di frequenza bassissimi in molti casi, dall’agricoltura ai servizi. I settori del commercio e della ristorazione, quello della sanità e dell’intrattenimento si attestano attorno alla media tra l’1,3 e l’1,7% aziende visitate su 100. Un focus, fatto poi sulle aziende più piccole, quelle sottoposte agli indicatori di affidabilità, mostra un controllo su 20 per le costruzioni, uno su 50 per gli intermediari immobiliari. C’è poi il nodo dell’evasione incassata realmente. Le irregolarità scoperte sembrano evaporare. A fronte di 72,3 miliardi accertati nel 2024 sono stati versati concretamente 12,8 miliardi.

Quando l’accertamento finisce in una cartella esattoriale vera e propria, con una iscrizione a ruolo, l’incasso crolla ancora, al 3,1%. Drammatici sono anche i dati successivi ai controlli delle dichiarazioni, con importi contestati che si traducono, nel caso dell’Irpef delle persone fisiche, a versamenti sotto il 10%, per l’Iva al 17,3%. Eppure gli strumenti non mancano. Tra questi i controlli finanziari, sui conti correnti bancari o sugli investimenti. Nel 2024 – calcola la Corte dei Conti – sono stati 4.558, in crescita rispetto ai 3.540 dell’anno precedente. Questi hanno portato ad una maggiore evasione accertata (da 176 a 248 milioni di maggiori imposte) che però non si è concretizzata in maggiore imposta riscossa: dai 13,2 milioni del 2023 si è scesi ai 5,1 del 2024. “Una forte diminuzione, del 61,4% – calcolano i magistrati contabili – Andrebbero dunque meglio approfondite le ragioni della riduzione di proficuità”.

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