Il Veneto invecchia e il mondo del lavoro rischia di restare senza forze fresche. Su 4,8 milioni di abitanti, un milione e mezzo ha tra 45 e 64 anni — i futuri pensionati — mentre gli under 20 sono appena 810 mila. «Il ricambio generazionale si è inceppato — spiega Gianpiero Dalla Zuanna, docente di Statistica a Padova —. Tra il 2026 e il 2045 la regione perderà circa 700 mila persone in età lavorativa, 36 mila l’anno. Anche gli immigrati non bastano: nel 2024 i nuovi ingressi tra i 20 e i 64 anni sono stati solo 9 mila».

Se il trend non cambia, nel 2045 i lavoratori veneti passeranno da 2,8 a 2,1 milioni, e il rapporto tra pensionati e occupati salirà da 43 a 79 ogni 100 lavoratori. Per evitare il collasso del sistema servirà aumentare il tasso di attività — oggi al 73% — fino all’80%, coinvolgendo soprattutto donne e over 65.

Il fabbisogno di manodopera, intanto, pesa sulle imprese: secondo un’indagine di Future Age su 565 aziende tra Verona, Vicenza e Treviso, il 53% degli imprenditori che pensa di cedere l’attività cita come causa principale la mancanza di personale motivato. Seguono problemi organizzativi, lentezza nella digitalizzazione e difficoltà di passaggio generazionale.

Per il demografo Massimo Livi Bacci, la risposta dovrà essere duplice: «Gli anziani devono produrre più valore e pesare di meno, e bisogna puntare sull’integrazione delle seconde e terze generazioni di immigrati. L’Italia avrà bisogno di accogliere 200-300 mila stranieri l’anno per i prossimi trent’anni».

Un contributo, aggiunge, che dovrà essere sostenuto anche dalle nuove tecnologie e dall’intelligenza artificiale, per consentire agli over 65 di restare attivi e produttivi più a lungo.

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