Pomodori a 99 centesimi al chilo, arance siciliane in offerta, pasta venduta sottocosto. Dietro queste offerte, simbolo del potere d’acquisto promesso dai grandi supermercati, si nasconde talvolta una catena di sfruttamento che coinvolge migliaia di lavoratori. Il fenomeno del caporalato, tradizionalmente associato al lavoro agricolo, ha esteso i suoi tentacoli anche alla logistica e alla distribuzione, diventando un anello occulto del sistema della grande distribuzione organizzata (GDO).

Negli ultimi anni, diverse inchieste giudiziarie e giornalistiche hanno messo in luce come le dinamiche del caporalato non si limitino più alle campagne del Sud Italia. Cooperative fittizie, appalti e subappalti senza controllo e contratti irregolari sono diventati strumenti per aggirare norme e tutele anche nei centri di smistamento e nei magazzini che riforniscono i supermercati di tutto il Paese.

“Molti lavoratori della logistica vivono condizioni simili a quelle dei braccianti agricoli,” spiega un sindacalista della CGIL che preferisce restare anonimo. “Orari massacranti, stipendi ridotti, turni notturni non retribuiti e, in alcuni casi, minacce o ricatti legati al rinnovo del contratto.”

Le responsabilità della Gdo

La grande distribuzione si difende sostenendo di non poter controllare ogni passaggio della filiera, soprattutto quando i servizi di trasporto e confezionamento sono affidati in appalto. Tuttavia, le associazioni dei consumatori e le organizzazioni per i diritti dei lavoratori puntano il dito proprio contro i colossi del settore: le pressioni sui prezzi e la ricerca costante di margini più alti spingono le aziende agricole e i fornitori a comprimere i costi, spesso a scapito dei lavoratori. Se un supermercato impone prezzi al produttore sotto i costi di produzione, qualcuno deve pagare la differenza  e quasi sempre sono i lavoratori.

Oggi il caporalato non si manifesta solo nei campi, con i “caporali” che reclutano braccianti stranieri per pochi euro al giorno. Nella logistica, le forme di sfruttamento sono più sofisticate: cooperative spurie che cambiano nome ogni sei mesi, false partite IVA, contratti a chiamata mai rispettati. In alcuni casi, i lavoratori vengono pagati a cottimo per ogni bancale movimentato, in violazione di ogni norma di sicurezza. Secondo i dati dell’Ispettorato nazionale del lavoro, nel 2024 oltre il 40% delle ispezioni nei magazzini della GDO ha rilevato irregolarità contrattuali o contributive.

Il prezzo della consapevolezza

Negli ultimi anni, campagne come “No Cap” o “Filiera Sporca” hanno contribuito a sensibilizzare i consumatori. Alcune catene di supermercati hanno aderito a protocolli di legalità, garantendo tracciabilità e contratti equi lungo tutta la filiera. Ma la strada è ancora lunga. Il caporalato nei supermercati è la faccia nascosta della modernità dei consumi: un sistema che alimenta disuguaglianze, precarietà e illegalità. Combatterlo significa ripensare il valore reale del lavoro e il significato etico del risparmio. Perché dietro ogni prodotto sugli scaffali, c’è sempre una storia. E, troppo spesso, quella storia parla di sfruttamento.

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