C’è un’Italia che rischia di perdere uno dei suoi battiti più autentici: quello dei mercati di paese, delle voci che si intrecciano tra i banchi, dei rapporti di fiducia costruiti negli anni tra clienti e ambulanti.
Secondo un’analisi di Anva Confesercenti, presentata in occasione dell’assemblea nazionale dell’associazione, il commercio su aree pubbliche sta vivendo una crisi profonda, che non riguarda solo i conti, ma la vita stessa dei nostri territori.
Un decennio di arretramento
I numeri parlano chiaro. Dal 2014 al 2024 sono scomparse oltre 42mila imprese ambulanti, pari a un calo del 22,4%: più di una su cinque. Le perdite più pesanti riguardano i settori storici dell’abbigliamento, dei tessuti e delle calzature, dove la contrazione sfiora il 55%, ma anche i banchi alimentari segnano un meno 18%.
Le regioni più colpite sono le Marche (–54,5%) e in generale il Nord-Est (–32,6%), mentre il Mezzogiorno tiene un po’ meglio (–15,9%). E non va meglio sul fronte delle nuove aperture: le iscrizioni di imprese sono crollate da oltre 22mila nel 2014 a poco più di 15.600 nel 2024 (–30%). La quota di spesa delle famiglie destinata agli acquisti nei mercati è scesa al 3%, due punti in meno rispetto a dieci anni fa. Un arretramento che vale 4,5 miliardi di euro di fatturato in meno.
Posteggi vuoti e regole incerte
Ma non è solo una questione di fatturato. Oggi, in media, un quarto dei posteggi nei mercati italiani è vuoto: circa 53mila spazi lasciati deserti. È il segno tangibile di un sistema che perde vitalità, anche a causa di incertezze normative, legate alla direttiva Bolkestein e ai continui rinvii sui rinnovi delle concessioni.
«L’assenza di linee guida chiare blocca gli investimenti e frena il ricambio generazionale», spiegano da Confesercenti. Il valore delle licenze, infatti, è crollato del 70%, passando da 30mila a 9mila euro: un dato che racconta la perdita di fiducia in un settore che, fino a poco tempo fa, rappresentava una delle forme più accessibili di microimprenditorialità italiana.
Un presidio economico e sociale
Ma dietro quei numeri c’è molto di più. A rischio non c’è solo un comparto storico, ma la tenuta commerciale e sociale dei territori, dove i mercati rappresentano un presidio economico, un servizio di prossimità e un punto di coesione». In molte città e paesi, il mercato non è solo un luogo dove si compra e si vende. È un luogo d’incontro, uno spazio dove le persone si riconoscono e si parlano. Dove il commercio è anche relazione, dove il banco dell’ortofrutta diventa il posto in cui si scambiano consigli, notizie, sorrisi. Quando questi spazi si svuotano, non scompare solo un pezzo di economia locale, ma si spegne una parte della socialità quotidiana. Un tessuto di relazioni fatto di fiducia, contatto e comunità, che nessun e-commerce potrà mai sostituire.
«il settore ha perso più di un’impresa su cinque in dieci anni: è un campanello d’allarme che non possiamo ignorare. Servono certezze, strumenti di sostegno e una riforma che ridia dignità a chi ogni giorno tiene viva questa forma di economia di prossimità>. Le proposte di Confesercenti vanno nella direzione di una stabilità normativa, di una fiscalità premiale per chi investe, della lotta all’abusivismo, della digitalizzazione e della formazione per le nuove generazioni di ambulanti. «Il 60% delle imprese ha margini di sviluppo – sostiene l’associazione di categoria – , ma il 40% avrà bisogno di accompagnamento per riconvertirsi».
I mercati rionali sono più che un’eredità del passato: sono un presidio di vita collettiva, un laboratorio di convivenza, un’economia a misura d’uomo. Difenderli significa evitare la desertificazione commerciale delle nostre città, ma anche proteggere un modo di vivere e di stare insieme che ci definisce come comunità. Non è solo un settore che si svuota. È un’Italia che rischia di perdere la propria voce nei luoghi dove, da sempre, la gente si incontra e si parla.
E forse, prima che sia troppo tardi, dovremmo tornare a fare un giro tra quei banchi , non solo per comprare, ma per ricordarci che un mercato vivo è anche una società viva.
Foto d’archivio
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