Il 9 dicembre del 1946, in una contrada aggrappata ai fianchi dell’Altopiano, veniva alla luce una bambina destinata a diventare una delle figure politiche più influenti dell’India contemporanea. Sonia Maino, oggi Sonia Gandhi, nacque infatti a Contrada Maini, un grappolo di case in pietra a Lusiana-Conco, poco meno di cinquemila anime sospese tra passato contadino e silenzi di montagna. Chi passa oggi per quella stradina vede una bandiera indiana sventolare accanto a un cartello essenziale: “Sonia’s birth place”.
Nessun museo, nessuna narrazione ufficiale, solo un gesto spontaneo degli attuali proprietari a ricordare che tra quelle mura iniziò la storia di una donna che avrebbe attraversato rivoluzioni politiche, tragedie familiari e decenni di leadership.
Nel 2020 l’edificio è stato acquistato da Kang Sukhdev Singh, cittadino indiano di origine sikh. Da allora, l’idea — ambiziosa e simbolica — di farne una casa-museo è rimasta sospesa, come una promessa ancora non mantenuta. A confermarlo è la sindaca di Lusiana-Conco, Antonella Corradin, che, dalle pagine del Corriere del Veneto, sottolinea come l’amministrazione sia aperta alla possibilità, ma la decisione spetti ai proprietari: «Al momento è un’abitazione privata. Però il Comune è disponibile a sostenerne la trasformazione in museo. L’auspicio è che i nuovi inquilini tornino a considerare l’idea di farci un’esposizione». Un auspicio che nasce anche dall’attenzione con cui la casa è stata recuperata. Per anni l’edificio era infatti rimasto in stato di abbandono, venduto più volte e via via trascurato. «La famiglia di Sonia l’aveva ceduta molto tempo fa e i precedenti proprietari l’avevano lasciata andare. Chi l’ha acquistata più recentemente, invece, l’ha ristrutturata con cura, restituendole dignità. E questo è un segnale importante», spiega Corradin. L’arrivo di una famiglia indiana tra i boschi dell’Altopiano non ha stupito particolarmente la comunità locale. Negli anni, molti lavoratori stranieri hanno abitato la zona mentre erano impiegati in pianura.
«A dire il vero — continua la sindaca sul Corriere del Veneto — sembrano più turisti innamorati del luogo che nuovi residenti. Ma sono comunque i primi abitanti indiani della contrada». Sonia Gandhi lasciò Lusiana a tre anni, quando la famiglia si trasferì a Orbassano, nel Torinese, dove il padre aveva avviato un’impresa edile. Il destino, però, la riportò lontano, verso un’altra dimensione della storia. Negli anni Sessanta, mentre studiava inglese alla Lennox Cook School di Cambridge, conobbe Rajiv Gandhi, figlio di Indira e nipote di Jawaharlal Nehru. Un incontro che avrebbe cambiato per sempre la sua vita. Nel 1968 si sposarono, entrando nella residenza del primo ministro indiano; nel 1983 Sonia rinunciò alla cittadinanza italiana, dichiarando anni dopo: «Mi sono trasferita qui perché io e mio marito eravamo pazzamente innamorati. Avrei fatto qualsiasi cosa».
Il suo percorso politico rimase a lungo sullo sfondo, fino al 1998, quando entrò ufficialmente nel Congresso nazionale indiano e l’anno successivo venne eletta in parlamento. Da allora, Sonia Gandhi è diventata una delle voci centrali dell’India contemporanea. Per quasi vent’anni ha guidato il partito secolarista più importante del Paese, consolidando un primato raro e segnando in profondità l’ultimo quarto di secolo. Oggi Contrada Maini resta un punto minuscolo sulle mappe, ma gigantesco nel suo valore simbolico. Un luogo che potrebbe diventare un ponte culturale, capace di raccontare l’origine veneta di una donna che ha inciso sulla storia di una nazione da oltre un miliardo di abitanti. Per ora rimane una casa privata, silenziosa e discreta. Ma sull’Altopiano aleggia una domanda che ritorna ciclicamente: quanto manca perché quelle stanze diventino finalmente il museo che molti immaginano? Una casa che non custodisce solo ricordi, ma un frammento di storia globale nato tra i boschi vicentini.
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