a cura di Nicola Perrone

“Il giornalismo non morirà, perché senza giornalismo scompare la società” spiega il professor Carlo Sorrentino, docente di giornalismo all‘Università di Firenze e direttore della rivista Problemi dell’Informazione, che abbiamo intervistato a proposito del suo ultimo libro ‘Il giornalimo ha un futuro. Perché sta cambiando, come va ripensato’ (Il Mulino).

“Ma no il giornalismo non può scomparire- risponde- perché se scompare il giornalismo scompare la società. Il giornalismo è la più importante istituzione per legare le persone tra di loro, per costruire la condivisione di uno stesso spazio simbolico. Quindi il mio ottimismo del titolo è dovuto alla costatazione che se scompare il giornalismo scompare la possibilità di creare relazioni fra di noi, scompare la società. Detto questo, e qui si spiega il sottotitolo, il giornalismo sta già cambiando da decenni, ci sono rivoluzioni tecnologiche in continuazione e anche l’intelligenza artificiale… E’ un bombardamento informativo, e dobbiamo cercare di capire come uscirne perché così si crea soltanto confusione e disordine”. Bisogna trovare “nuove pratiche e nuove logiche”, prosegue Sorrentino “e anche ridisegnare il cosiddetto campo giornalistico”.

“Reputazione e credibilità sono ancora molto importanti- risponde il professore dell’Università di Firenze- ma è anche vero che in un mondo in cui tutti potenzialmente possono far girare informazioni costruire la propria credibilità, la propria reputazione diventa più difficile. Ed è paradossale come a volte anche i professionisti, cioè coloro che dovrebbero avere maggiore credibilità e reputazione, invece si trovino in difficoltà”. Come mai? “Perché viviamo in un ambiente cognitivo- spiega- per cui talvolta qualcosa di istituzionale viene subito percepito e visto collegato a un potere distante, e si ha diffidenza… Di qui poi nascono tutte le teorie del complotto. Bisogna ricostruire un nuovo patto informativo che non può che essere basato su nuove forme di credibilità e di reputazione tra i professionisti e il loro pubblico”.

Serve un nuovo patto tra professionisti dell’informazione e pubblico di riferimento, professor Sorrentino lei dice incentrato sulle ‘5 i’…

“Sono cinque parole che io ho individuato come fondamentali per ripensare il giornalismo. Sono già presenti nel lavoro quotidiano giornalistico, due parole hanno a che vedere con il rapporto con il proprio pubblico ‘inclusione’ e ‘identità’. Proprio perché c’è un eccesso di informazione noi dobbiamo coostruire un rapporto molto più stretto con il pubblico, costruire community e trovare nuove modalità di appartenenza. Noi siamo abituati a un rapporto molto conservativo tra pubblico e testato informative… c’è il giornale di riferimento che uno non cambiava, nel caso italiano quasi sempre questo giornale di riferimento era quello della propria regione e la propria città”. Questi legami oggi sono saltati e quindi occorre trovare nuove modi non solo di parlare ma anche di ascoltare di più i propri pubblici. “Non basta- dice ancora Sorrentino- il lavoro del giornalista deve essere sempre più un lavoro che oltre a far conoscere la realtà deve cercare anche di farla comprendere, dal giornalista non vogliamo soltanto avere informazioni ma anche interpretare, contestualizzare, metterle in un circuito logico… di qui ‘5 i’: identità, inclusione, interpretazione, inquadramento e illuminazione”.

C’è del buon giornalismo in Italia?

“Assolutamente sì dice il professore dell’Università di Firenze- e viene fatto in tanti luoghi diversi. C’è del buon giornalismo nel mainstream, nelle agenzie di informazione o nelle principali testate e, via scendendo, buon giornalismo televisivo. Ma è anche vero che questi luoghi a volte continuano ad adagiarsi su format sorpassati. Per esempio troviamo buon giornalismo e nuovi formati in testate native digitali che hanno con più immediatezza capito questo nuovo patto, questo rapporto più stretto con il pubblico, con cui dialogano molto di più. Purtroppo questa ottima qualità deve convivere con tanto ciarpame, con un’informazione che anche assillata dal più grande problema: di dover realizzare e produrre di più con sempre meno risorse economiche perché queste sono fagocitate dalle 5 grandi aziende tecnologiche americane che non producono informazioni ma le distribuiscono. Che succede? Che dovendo cercare di prendere voce in questo disordine talvolta si scelgono anche delle scorciatoie, informazioni gridate, scandalistiche, che solleticano il pubblico. Il pericolo è che questa cattiva informazione può abbassare la credibilità e la reputazione da cui siamo partiti”.

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