«Non possono esistere territori di serie A e territori di serie B», denunciano. Eppure è proprio questa la fotografia che emerge: cittadini costretti a percorrere chilometri anche solo per una ricetta o una visita di controllo, anziani lasciati senza un punto di riferimento sanitario, famiglie che vedono trasformarsi un diritto costituzionale in un percorso a ostacoli.
Per Luisetto, quella delle due vallate non è un’eccezione ma il sintomo di un problema strutturale: «Da mesi i residenti fanno i conti con una carenza grave di medici di medicina generale. È una condizione che pesa soprattutto sulle persone più fragili e che rende evidente il fallimento di una programmazione regionale miope». Anni di mancato ricambio generazionale, assenza di incentivi per lavorare nelle zone montane e periferiche, nessuna strategia concreta per rendere attrattiva la medicina di base: il conto, oggi, lo pagano i cittadini.
Dalla Pozza punta il dito contro una Regione che, a fronte delle difficoltà reali, continua a rimandare: «I cittadini stanno facendo la loro parte, mobilitandosi in modo civile e responsabile. Ma la Regione non risponde con un piano mirato. Servono incentivi veri, una specializzazione dedicata alla medicina generale, prospettive di carriera. Non slogan né rimpalli di responsabilità».
Particolarmente dura la critica al racconto di una sanità “innovativa” che, nei fatti, non arriva: «Si parla di “ospedale liquido” che entra nelle case – osservano – ma la realtà è fatta di persone che devono spostarsi per avere servizi essenziali. Così non è l’ospedale ad arrivare sul territorio: è la sanità che si dissolve, lasciando vuoti difficili da colmare».
I due consiglieri annunciano iniziative in Consiglio regionale per chiedere misure straordinarie nelle aree carenti, ribadendo che il diritto alla cura non può dipendere dal codice di avviamento postale. «Garantire gli stessi diritti a chi vive in città e a chi abita nelle vallate – concludono – non è solo una questione sanitaria, ma un tema di dignità, giustizia e coesione sociale».
Ndr
Una mobilitazione che diventa atto politico nel senso più alto del termine. Perché quando sono le comunità a doversi organizzare per reclamare l’essenziale, significa che qualcosa, nel sistema, si è rotto. E continuare a ignorarlo non è più un’opzione.
di Redazione AltovicentinOnline
Stampa questa notizia





