«Non si può fare, la legge non lo permette». È il ritornello che rimbalza ogni volta che qualcuno, nell’Altovicentino, osa proporre l’ipotesi “eretica”: lasciare gli impianti – termovalorizzatore di Schio in testa – in capo ad AVA e far entrare AVA in ViAmbiente, affidando a quest’ultima la gestione in house del servizio rifiuti per il Bacino Vicenza. Peccato che, letta davvero la normativa, quel “non si può” assomigli più a un alibi politico che a un divieto giuridico.
L’ipotesi “eretica”: AVA impianti, ViAmbiente servizio
Lo schema è chiaro: AVA resta proprietaria degli impianti industriali; ViAmbiente diventa il gestore unico in house (raccolta, trasporto, igiene urbana); AVA è socia forte di ViAmbiente, che però è controllata dai Comuni tramite il controllo analogo. In pratica: l’asset industriale resta all’Altovicentino, mentre la “vetrina” verso i cittadini è ViAmbiente. Una società “industriale” che custodisce le chiavi dell’impianto; una società di servizio che gestisce il quotidiano. Altro che eresia.
Codice civile: nessun tabù sullo scorporo
Sul piano del codice civile non c’è nessun tabù: fusioni, scissioni, conferimenti di rami d’azienda sono strumenti ordinari. Nulla vieta a una società partecipata di scorporare un ramo “impianti” e tenerlo in pancia, partecipando allo stesso tempo a un’altra società che gestisce il servizio. L’unico vincolo vero è rispettare le procedure e tutelare soci e creditori. Di un «obbligo di tenere tutto nella stessa scatola» non c’è traccia.
TUSP e partecipate: il tema è la convenienza, non il divieto
Il Testo Unico sulle partecipate (TUSP) non vieta affatto un assetto a doppio livello: chiede solo che sia sensato. Vuole che l’operazione sia motivata: perché è più efficiente? Evita duplicazioni? Non serve a spostare debiti da una parte all’altra? La famosa frase «se vuoi spaccare la società devi dimostrare che ci sono dei risparmi» significa questo: non sacrificare ogni idea alternativa sull’altare del “non si può”, ma dimostrare che la nuova architettura sta in piedi. Faticoso, sì. Illegittimo, no.
In house e controllo analogo: chi tiene il volante
Sul fronte in house, la questione è di sostanza: ViAmbiente può essere gestore in house se i Comuni (tramite il Consiglio di bacino) controllano davvero le decisioni strategiche e se oltre l’80% dell’attività è svolta per loro. Il problema non è che AVA sia socia, ma che diventi il dominus, togliendo ai Comuni il volante. Se statuto, convenzione di controllo analogo e patti parasociali fissano poteri veri (indirizzo, veto, verifica), l’in house regge anche con AVA azionista forte e proprietaria degli impianti. Dire che “l’in house lo vieta” è, di nuovo, una comoda scorciatoia.
Rifiuti e ARERA: i grandi gruppi insegnano
La normativa di settore e la regolazione ARERA, poi, dicono chiaramente che raccolta e impianti non devono per forza stare nello stesso soggetto. In Italia ci sono già modelli consolidati – basti pensare a gruppi come A2A, Hera, Iren – in cui una società fa da “braccio impiantistico” (termovalorizzatori, discariche, TMB) e altre società del gruppo gestiscono la raccolta e il rapporto con i Comuni, conferendo agli impianti “di casa”. ARERA chiede trasparenza nei costi e nei contratti, PEF coerenti e assenza di rendite nascoste, non il matrimonio indissolubile tra camion e ciminiere.
Il nervo scoperto: rischi, debiti e memoria corta
In questo quadro, lo schema AVA impianti + ViAmbiente servizio è tutt’altro che bizzarro: è semplicemente l’adattamento locale di un modello già adottato da player ben più grandi. Decidere dove collocare gli impianti non è un dettaglio notarile: è tracciare il confine tra chi comanda davvero sul sistema e chi certifica passivamente scelte altrui. E la memoria di Viacqua, dove la parte più solida si è ritrovata a reggere i problemi degli altri senza un potere decisionale proporzionato, dovrebbe essere un monito, non una parentesi da archiviare.
La domanda finale per l’Altovicentino
Alla fine la domanda per i sindaci dell’Altovicentino è semplice, anche se scomoda: si vuole che AVA diventi solo un tassello di una grande macchina provinciale, consegnando anche gli impianti al nuovo contenitore?
Oppure si ha il coraggio di costruire un modello a doppio livello, in cui ViAmbiente fa il lavoro “di strada” e AVA resta presidio industriale del territorio, come già avviene – in forme diverse – in gruppi come A2A, Hera, Iren?
Le norme permettono entrambe le strade. L’unica cosa che non permettono è continuare a usare il “non si può, lo dice la legge” come paravento per non discutere apertamente di potere, rischi e responsabilità.
mds

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