Uomini e donne continuano ad essere su piani decisamente diversi, nella sfera lavorativa ed economica. A certificarlo è Eurostat, da cui apprendiamo che il tasso di occupazione femminile italiano si attesta sul 55%: agli ultimi posti dell’UE, il cui tasso di occupazione femminile complessivo si aggira sul 70%.

Colpisce il gender pay gap. Si tratta del divario retributivo di genere che è la differenza tra il salario annuale medio percepito da donne e uomini. Questa stima tiene conto dei tre principali svantaggi affrontati dalle donne, ossia retribuzione oraria inferiore, meno ore di lavoro retribuito e minore tasso di occupazione spesso a causa di interruzioni di carriera per prendersi cura di figli o familiari. Secondo Eurostat i lavoratori italiani hanno un salario annuo medio più alto del 43% rispetto alle lavoratrici italiane in confronto alla differenza salariale media europea pari a circa il 36%.

“I fattori che contribuiscono a tale situazione sono molteplici. Gli ostacoli di natura culturale, come le discriminazioni di genere e la scarsa valorizzazione del merito la fanno da padrone. Le posizioni lavorative di gestione e supervisione – spiega Elisabetta Zanon del Coordinamento Donne delle ACLI di Vicenza aps – sono ricoperte in maggioranza da uomini. Gli uomini ricevono più promozioni rispetto alle donne, in tutti i settori, di conseguenza vengono pagati di più. Questa tendenza raggiunge il culmine ai livelli più alti della scala lavorativa. Le donne si fanno carico di importanti compiti non retribuiti, quali i lavori di casa e la cura dei figli o familiari, in proporzione maggiore rispetto agli uomini”.

La maternità in Italia segna l’uscita dal mercato del lavoro per circa un’occupata su cinque. Le donne tendono a trascorrere più spesso periodi di tempo fuori dal mercato del lavoro rispetto agli uomini. La maternità in Italia segna l’uscita dal mercato del lavoro per circa un’occupata su cinque. Queste interruzioni di carriera influenzano non solo la loro retribuzione, ma hanno anche un forte impatto sui loro guadagni futuri e sulla pensione. Analoghi rilievi emergono dall’indagine “Lavorare dis/pari, ricerca su disparità salariale e di genere” recentemente realizzata dalle Acli Nazionali. “Il sondaggio – prosegue Elisabetta Zanon – mostra che il divario di genere rispetto ai redditi da lavoro sussiste anche tra lavoratori/lavoratrici con caratteristiche simili, presentandosi più alto per i lavoratori e le lavoratrici stabili nel settore privato (dove i redditi delle donne risultano particolarmente bassi) rispetto al settore pubblico, in cui i redditi bassi si riducono”.

Il lavoro povero è prerogativa femminile. “Dai dati emerge che il cosiddetto “lavoro povero” è prerogativa femminile. Tra i lavoratori saltuari coloro i quali hanno un reddito annuo complessivo fino a 15.000 euro – aggiunge Elisabetta Zanon – sono circa il 68% tra le donne, percentuale che scende a circa il 51% tra gli uomini. Ma anche tra i lavoratori stabili i valori registrati per quella fascia di reddito sono rispettivamente del 24% contro il 7%. È interessante notare come il divario sia indifferente alla condizione lavorativa ed alla continuità lavorativa: il divario con gli uomini si conserva sia che si disponga di un lavoro stabile, sia nel caso opposto”.

Il 3 dicembre 2021 l’Italia ha firmato una nuova legge sulla parità retributiva (la n. 162/2021) che mira ad affrontare il divario retributivo tra uomini e donne e a incoraggiare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. L’Europa ha adottato a marzo 2023 una normativa sulla trasparenza salariale (Direttiva UE n.2023/970), per garantire che nell’Unione Europea donne e uomini ricevano la stessa retribuzione per uno stesso lavoro: l’Italia dovrà recepirla entro il 7 giugno 2026.

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