“Senza il coinvolgimento attivo dei medici di medicina generale e senza strutture spoke ben finanziate, le Case di Comunità  resteranno un progetto incompiuto”

“Se vogliamo che le Case della Comunità non restino un progetto architettonico, ma si trasformino in dispositivi sociali e professionali realmente trasformativi, dobbiamo rimettere al centro il territorio, non solo dal punto di vista infrastrutturale, ma anche relazionale e organizzativo». A lanciare l’allarme è il dottor Giuseppe Belleri, medico e esperto di organizzazione sanitaria, che in una lunga riflessione ha analizzato le criticità emerse nella fase attuativa del DM77.

Le Case della Comunità (CdC) sono state concepite come il fulcro della nuova assistenza territoriale: luoghi di prossimità, multidisciplinari, capaci di integrare servizi sanitari e sociali. Tuttavia, la loro realizzazione rischia di scontrarsi con una realtà che procede in tutt’altra direzione. “Sta emergendo un implementation gap strutturale –  avverte Belleri sul noto giornale Quotidiano Sanità – determinato dalla scelta di finanziare esclusivamente le CdC hub a scapito delle case spoke, che secondo la visione originaria avrebbero dovuto essere il nodo più accessibile e flessibile della rete territoriale”.

Un errore già visto con la riforma Balduzzi

Non è la prima volta che una riforma della sanità territoriale inciampa nella mancanza di investimenti adeguati e di una pianificazione sostenibile. “È quanto accadde anche con la riforma Balduzzi del 2012 –  ricorda Belleri – quando vennero introdotte le AFT e le Unità Complesse senza però fornire le risorse necessarie alla loro implementazione pratica. Queste ultime potevano costituire una sorta di spoke ante litteram, ma furono lasciate sulla carta”. Oggi, secondo il medico, si sta ripetendo lo stesso errore: ” finanziare solo le mega-strutture hub ha implicazioni profonde, soprattutto per i medici di medicina generale (MMG), che temono di ritrovarsi sotto una gestione burocratizzata e centralista, lontana dai bisogni reali dei territori”.

Il ruolo dimenticato dei “burocrati di strada”

Il cuore della riflessione di Belleri ruota attorno alla figura dei street-level bureaucrats (SLBs), concetto elaborato dal sociologo Michael Lipsky: “Gli SLBs sono gli operatori in prima linea, quelli che ogni giorno traducono le policy in pratiche concrete. Non si può comprendere davvero una politica pubblica osservandola solo dai piani alti dei ministeri, perché essa prende forma negli uffici affollati e nei rapporti quotidiani con i cittadini . Per questo motivo, secondo Belleri, “la discrezionalità degli SLBs non è un difetto del sistema, ma una risorsa preziosa. È ciò che consente di adattare norme astratte a situazioni personali complesse, uniche o imprevedibili. Ma se questa discrezionalità viene compressa, se l’autonomia professionale viene ignorata, si rischia di trasformare una risorsa generativa in resistenza passiva, selettiva o simbolica”.

Medici di medicina generale sempre più ai margini

La difficoltà di inserimento dei MMG all’interno di una rete centrata sulle grandi strutture hub è un nodo critico. “Molti colleghi si trovano a disagio di fronte a una governance ospedalocentrica, percepita come gerarchica e poco sensibile alla loro autonomia organizzativa –  spiega Belleri – . Il rischio è che vengano considerati non come coprotagonisti della riforma, ma semplici destinatari di direttive, e questo ne mina la partecipazione attiva”. A peggiorare la situazione, secondo Belleri, contribuisce anche l’ipotesi – più volte discussa – del passaggio dei medici convenzionati alla dipendenza. “È un’idea che accentua il malessere, perché viene percepita come un ulteriore passo verso la perdita di autonomia”.

L’Emilia-Romagna: un modello possibile

Eppure, un’alternativa è possibile. A dimostrarlo è l’esperienza della regione Emilia-Romagna, che nel 2025 ha varato nuove Linee di programmazione sanitaria fondate sulla coprogettazione partecipata. “È la regione con la rete Hub&Spoke più articolata e ha deciso di coinvolgere attivamente i professionisti – MMG inclusi – nell’ideazione e nella gestione delle nuove strutture –  spiega Belleri – . Un modello virtuoso, che secondo il medico «dimostra come la fiducia e la condivisione dal basso siano leve decisive per superare le resistenze e valorizzare la discrezionalità in senso positivo. È la prova che un’altra sanità territoriale è possibile, se si parte dal basso”.

N.B.

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