Con il diffondersi di “salari bassi e bassissimi” e l’aumento del costo della vita succede che “in Veneto chi lavora è povero”. Il verdetto è della Cgil. “La questione salariale riguarda anche il nostro territorio, fino a poco fa considerato la locomotiva d’Italia, ma che ora sta scontando da una parte la mancanza di investimenti e di politiche industriali serie e dall’altra, come per il resto d’Italia, il mancato rinnovo di molti contratti, tenuti in stallo da associazioni datoriali e dallo Stato, con salari troppo bassi ulteriormente penalizzati dall’inflazione galoppante”, spiega il sindacato. E a riprova la Cgil snocciola i numeri. In regione ci sono 465.000 lavoratrici e lavoratori “poveri”: il loro reddito annuo medio lordo è infatti sotto agli 11.000 euro. Altri 430.000 veneti hanno un reddito tra i 16.000 e i 20.000 euro. Tra le cause dei bassi salari medi in Veneto ci sono il ricorso al part-time, la precarietà contrattuale e infine la discontinuità lavorativa che ha un’incidenza del 39,3% dei lavoratori dipendenti. Il tema quindi non riguarda solo la quantità di lavoro, “con la Regione Veneto che usa sempre toni trionfalistici parlando di occupazione, ma soprattutto la qualità e quindi la dignità del lavoro”, afferma Tiziana Basso, segretaria della Cgil del Veneto. Il quadro che tracciato dall’analisi sindacale “è desolante, con centinaia di migliaia di lavoratori che non arrivano ai mille euro nette al mese di retribuzione”. I lavoratori a tempo indeterminato e full time (anno intero lavorato) sono 778.000 con un reddito medio lordo annuo di 36.000 euro lordi, minore di 2.000 euro rispetto alla media nazionale. “Nel ricco Veneto gli stipendi dignitosi non sono dunque così accessibili”.
Indicati i problemi, la Cgil indica anche le strade per superarli: “Serve il rinnovo immediato dei contratti collettivi nazionali scaduti, serve una politica fiscale vera e progressiva e serve riprendere la discussione sul salario minimo, anche a fronte delle decine di migliaia di lavoratori veneti che sono sotto le nove euro lorde orarie di retribuzione. Questo per compensare un’inflazione che negli ultimi tre anni ha raggiunto il 17%, erodendo inesorabilmente il potete d’acquisto dei lavoratori e delle loro famiglie”
