di Anna Bianchini

Non si può mentire in eterno. Ed il modo migliore per svelare la verità è tirarla fuori piano piano cercando di indorare la pillola.

E’ quello che deve avere pensato Matteo Salvini  a Verona quando, per annunciare che l’autonomia sarebbe slittata a fine anno, come motivazione ha dato: “E’ motivo di orgoglio: sono tante ora le Regioni che la chiedono. Vogliamo studiare tutto bene”.

Una presa in giro sonora dopo 3 rinvii, festeggiamenti e dichiarazioni trionfali. Una presa in giro sfrontata, da vero leader di un popolo bue.

Dopo i vari “accordo con il Mef”, “accordo raggiunto al 70%”, “intesa raggiunta” e “testi”, nel giro di pochi giorni l’autonomia è finita nel silenzio, per poi slittare a fine anno. E lo scenario che si profila è lo stesso andato in scena nella fase finale della caduta della Banca Popolare di Vicenza, con i veneti attoniti che hanno visto il valore delle azioni scendere da 62,5 euro a 48, per poi vederle cadere ancora, per poi essere spinti a votare la trasformazione in Spa, per finire infine con le azioni a valore zero e la banca regalata ad un altro istituto. Ci avevano creduto fino in fondo, i risparmiatori, che con la trasformazione in Spa ci avrebbero guadagnato, ma alla fine, dopo tanta attesa, allo schiaffo finale erano arrivati già pronti.

Ecco quindi spiegato il 38 di febbre di Erika Stefani, ministro agli Affari Regionali e alle Autonomie, che, sabato,  alla presentazione della candidata leghista a sindaco di Schio era malata.

Un ministro, la Stefani, che nell’Alto Vicentino, è apprezzato. Chi la conosce bene la definisce “un mastino che non molla l’osso” e chi è nel suo entourage sa bene che lei, avvocato, ex senatore ed ora seduta in uno degli scranni più importanti d’Italia, “quando si mette in mente un obiettivo lo porta avanti costi quel che costi”. Una donna che in molti già intravedono “l’agnello sacrificale, scelta apposta perché donna, perché veneta, perché sarebbe stata la figura migliore sulla quale riversare le colpe nel momento in cui l’autonomia non si farà”.

Il fatto è, che nessuno ha dubbi sull’onestà intellettuale di Erika Stefani. Ce l’ha messa e ce la sta mettendo tutta e nonostante un giorno dichiari che non ci sono i testi, per poi fare dietrofront il giorno dopo, in molti sanno (nel vicentino tutti), che se fosse stato per lei l’autonomia per Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna ci sarebbe dallo scorso ottobre.

Con buona pace delle Regioni che l’avrebbero chiesta dopo, che l’avrebbero avuta in un secondo momento godendo di un percorso facilitato.

Quello che invece stupisce, è come sia possibile che ancora, ci sia chi giustifica un ulteriore slittamento dell’autonomia. Salvini in primis, che con la frase “La vogliono tutti, vogliamo studiare tutto bene”, fa passare per coglioni milioni di elettori.

Le scuse ormai non reggono più. I 5 Stelle non sono mai stati un vero problema e lo hanno testimoniato a gran voce. Inutile dare loro colpe oggi o addirittura far credere al pubblico che la sparizione dei pentastellati, data per certa alle europee, agevolerà il percorso per le autonomie regionali. Si pensa di far passare per un impedimento i 5 Stelle e non uno come Silvio Berlusconi, con il quale pare essere nell’aria l’accordo?

Luca Zaia, ufficialmente, non si è espresso contro Salvini, anzi, ha lasciato intendere che le parole “orgoglio” e “fare tutto bene” sono segnale di apertura da prendere con ottimismo e ha annunciato che sarà il candidato alle prossime regionali.

A questo punto rimangono due dubbi: quanto si faranno prendere in giro ancora i veneti? E quanto, come era successo ai tempi della Banca Popolare di Vicenza, si presterà quella parte di stampa compiacente a far credere che “va tutto bene”?

 

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