In queste ultime settimane il mondo del podismo vicentino è rimasto sconvolto dalla prematura scomparsa di due atleti vicentini, Anna Zilio e Alberto Zordan, rispettivamente di 39 e 49 anni, trovati morti a letto, a distanza di 21 giorni. Due compagni della stessa squadra, il Km Sport società veronese, accomunati dalla stessa passione per la corsa. Due atleti in salute, sempre controllati e molto scrupolosi con l’alimentazione e gli allenamenti, sgarri pochissimi.   Entrambi erano seguiti da Dario Meneghini, 39 anni, vicentino, laureato in Scienze motorie. Proprio l’allenatore aveva avuto una lunga relazione con Anna Zilio, che si era interrotta però recentemente. Un dubbio enorme che ha portato le  Procure di Vicenza e Verona, a ordinare il sequestro dei certificati medici. Nel frattempo i legali dei familiari di Anna Zilio e Alberto Zordan hanno richiesto ai propri legali il referto dell’autopsia.  Ora ci si interroga sul perchè sia possibile che simili eventi tragici si possano verificare in giovani sportivi che, di norma, dovrebbero essere controllati e seguiti più di altri. A chiarirlo è il professore associato dell’Unità operativa complessa medicina dello sport e dell’esercizio fisico del Dipartimento di Medicina dell’Università di Padova, Andrea Ermolao.

Professor Ermolao, come si spiega che due atleti in salute e molto controllati siano potuti morire così giovani?

Con il fatto che possono essere presenti patologie intercorrenti, non presenti al momento della visita annuale. In questi, ma anche in altri rari casi, le patologie possono essere completamente silenti dal punto di vista clinico e non identificabili con gli esami standard, previsti per il rilascio dell’idoneità sportiva agonistica. È sempre possibile l’errore medico, talora legato a comportamenti non coerenti con le linee guida.

Esiste uno speciale protocollo cardiologico per arrivare subito alla diagnosi?
In Italia esistono delle leggi molto precise in merito al rilascio dell’idoneità sportiva agonistica, associate a protocolli cardiologici regolarmente aggiornati che in altre nazioni non sono presenti. I nostri protocolli sono il frutto di oltre 40 anni di esperienza e studi che, partendo da uno screening di base, seguito da eventuali accertamenti di II e III livello, hanno permesso di migliorare la nostra capacità di individuare precocemente le principali patologie cardiologiche correlate alla morte improvvisa nell’atleta, ma anche molte altre condizioni cliniche che in questo modo è possibile trattare precocemente.

Quali sono le principali cause di morte cardiaca improvvisa tra gli sportivi?

In generale, ad esclusione delle cause traumatiche e di natura cerebro-vascolare, le cause più frequenti sono anomalie congenite delle coronarie, condizioni su base genetica come le cardiomiopatie ipertrofica e aritmogena, la tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica e le patologie dei canali ionici. Infine ci possono essere condizioni “incidentali”, come la miocardite acuta e la commotio cordis, che è legata ad un trauma a livello della regione precordiale. In rari casi, le cause rimangono purtroppo ignote, malgrado gli accertamenti anatomopatologici.

Quali sono i controlli più utili da fare nei giovani atleti?

Quelli attualmente previsti per il rilascio dell’idoneità sportiva agonistica, naturalmente puntando alla qualità ed all’accuratezza delle visite, condizione indispensabile per aumentare la sensibilità diagnostica degli accertamenti. Un altro consiglio per tutti gli atleti, anche se già in possesso della certificazione sportiva agonistica, è quello di non trascurare mai eventuali nuove sintomatologie di nuova comparsa, quali dolore e/o senso di oppressione toracica, sensazione di battito irregolare, maggior affaticabilità, riduzione della performance, episodi vertiginosi e/o di perdita di coscienza, specialmente quando questi si correlano alla pratica di attività fisica.

Nella sua esperienza di medico dello sport, Le è accaduto di dover “fermare” qualche atleta?

Capita abbastanza raramente, ma purtroppo può capitare. In alcuni casi lo stop all’attività agonistica è solo temporaneo, in altri, è permanente. Tuttavia, sono veramente molto poche le condizioni cliniche nelle quali l’attività fisica/sportiva è assolutamente controindicata.  Più spesso, l’atleta deve prendere coscienza che la sua condizione di salute, per la sua sicurezza, gli preclude l’attività agonistica e/o ad elevata intensità, ma non la pratica di un’attività fisico-sportiva adattata alla sua patologia, che può comunque risultare gratificante e può fornirgli importanti benefici per il suo stato di salute generale. Quindi, non è un “fermare”, ma un reindirizzare ad una corretta pratica, che tuteli al meglio la sua salute.

Nel 2006 uno studio di Domenico Corrado, ordinario di Cardiologia all’Università di Padova sulla prestigiosa rivista ‘JAMA’, ha dimostrato come nella regione Veneto l’incidenza di morte improvvisa dell’atleta sia calata quasi del 90% in seguito all’introduzione dello screening medico-sportivo. Rimangono, però, alcuni punti da chiarire, che puntualmente emergono nei dibattiti tra esperti, come l’utilità di ripetere periodicamente lo screening. Lei cosa suggerisce al riguardo?

E’ vero che non esiste ancora un completo accordo a livello internazionale circa l’utilizzo di una visita di screening medico-sportivo per identificare precocemente patologie o condizioni di possibile rischio di eventi avversi cardiovascolari, anche fatali. Questo però è molto legato anche ad una diversa legislazione e a diverse politiche sanitarie presenti in molti Stati, che si basano anche su valutazioni economiche. In realtà, sappiamo bene che molte patologie danno una loro manifestazione clinica nel periodo adolescenziale, ma con un’età di esordio variabile. Inoltre, possono esistere condizioni cliniche di nuova insorgenza, quali ad esempio stati infettivi/infiammatori che colpiscono il muscolo cardiaco che possono essere acquisite a qualsiasi età. A questo proposito, le evidenze che provengono proprio da un’analisi di dati della regione Veneto suggeriscono che una valutazione seriata, cioè annuale, come previsto dalla legislazione italiana, è in grado di identificare con maggior sensibilità ed efficacia queste condizioni cliniche, che non erano presenti alla prima visita. Quindi, il mio parere è che sia assolutamente utile eseguire controlli regolari, riferendo eventuali sintomi cardiovascolari ed esigendo una visita complete e approfondita, come detto in precedenza. Lo scopo della visita non dev’essere l’ottenimento del certificato, ma la tutela della salute e la prevenzione a 360°, non solamente quella cardiovascolare.

F.C.

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