La Regione Veneto prova a ridisegnare il welfare territoriale puntando sulla prossimità, sulla condivisione dei servizi e sull’uso della tecnologia. Con un comunicato che ha già acceso il dibattito nel mondo socio-sanitario, il presidente Alberto Stefani ha annunciato la nascita degli “assistenti di quartiere”, una nuova figura pensata per rispondere alle esigenze crescenti di anziani e persone parzialmente non autosufficienti.
L’idea di fondo è semplice quanto ambiziosa: superare il modello tradizionale dell’assistenza individuale, spesso troppo costosa per molte famiglie, creando operatori di riferimento a livello di quartiere o di comunità. Figure sempre reperibili, vicine fisicamente agli utenti, flessibili negli orari e capaci di garantire più accessi durante la giornata, condividendo i servizi tra più
Gli assistenti di quartiere saranno formati direttamente dalla Regione Veneto e iscritti in un apposito albo, a garanzia di competenze certificate e standard di qualità omogenei. Non sostituiranno il Servizio di assistenza domiciliare (SAD) né gli operatori socio-sanitari già attivi, ma lavoreranno in rete con famiglie, associazioni del territorio e servizi esistenti, colmando quegli spazi di bisogno che oggi restano scoperti.
Secondo quanto anticipato, si occuperanno di una serie di servizi primari fondamentali: monitoraggio delle condizioni della persona, supporto nella quotidianità, aiuto nella gestione delle terapie, segnalazione tempestiva di situazioni di criticità. Un ruolo reso ancora più efficace dall’utilizzo di strumenti tecnologici di monitoraggio, che permetteranno interventi più rapidi e una maggiore continuità assistenziale.
I modelli internazionali
La Regione guarda a esperienze già consolidate all’estero. In Giappone, il sistema del “community care” ha dimostrato come la presa in carico territoriale degli anziani possa ridurre l’isolamento e alleggerire la pressione sulle strutture ospedaliere. In Svezia, invece, gli “hub tecnologici” hanno integrato assistenza umana e soluzioni digitali, garantendo affidabilità, tracciabilità delle prestazioni e qualità dei servizi.
«Abbiamo preso spunto da modelli che funzionano», è il messaggio politico che accompagna l’iniziativa, con l’obiettivo di adattarli al contesto veneto, caratterizzato da una popolazione sempre più anziana e da famiglie spesso lasciate sole nella gestione della non autosufficienza.
Una risposta all’emergenza demografica
I numeri spiegano il senso dell’operazione. In Veneto, come nel resto del Paese, l’invecchiamento della popolazione procede a ritmo sostenuto, mentre le risorse pubbliche e la disponibilità di personale specializzato faticano a tenere il passo. Gli assistenti di quartiere si inseriscono in questo scenario come una soluzione intermedia: meno onerosa dell’assistenza esclusiva, ma più strutturata e affidabile del semplice supporto informale.
Resta ora da capire come il progetto verrà tradotto in pratica: quanti assistenti saranno formati, con quali risorse, in quali tempi e con quali criteri di distribuzione sul territorio. Cruciale sarà anche il coordinamento con i servizi sociali comunali e con le Ulss, per evitare sovrapposizioni e garantire una reale integrazione.
Se mantenute le promesse, l’iniziativa potrebbe rappresentare una delle innovazioni più significative nel welfare regionale degli ultimi anni. L’obiettivo dichiarato è chiaro: una comunità «sempre più vicina alle esigenze delle persone anziane o parzialmente non autosufficienti, senza lasciare indietro nessuno». La sfida, ora, è trasformare l’annuncio in un modello concreto e sostenibile.
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