“Da anni, assistiamo a una fuga di medici dalle strutture pubbliche: la Regione non può nascondersi dietro il ‘problema nazionale’, perché esiste un ‘caso Veneto‘. Vogliamo conoscere i numeri, quanto sono i professionisti che hanno comunicato le proprie dimissioni tra l’1 gennaio e il 31 dicembre e avere finalmente dei chiarimenti sui motivi, perché finora le risposte della Giunta non sono state soddisfacenti”.

La richiesta arriva dal gruppo in Regione del Partito democratico Veneto, con un’interrogazione della consigliera Anna Maria Bigon (vicepresidente della commissione Sanità) e sottoscritta dai colleghi Francesca Zottis, Giacomo Possamai, Vanessa Camani, Jonatan Montanariello e Andrea Zanoni. “Vogliamo avere un quadro completo, con una suddivisione tra medici ospedalieri, specificando se si tratta degli hub provinciali o degli spoke, di medicina generale, di continuità assistenziale e pediatri di libera scelta”. Per fare un esempio, segnalano ancora i dem, “l’ultimo monitoraggio di Anaoo-Assomed ha rivelato che nel giro di dieci anni, solo per i medici ospedalieri si è passati da 81 dimissioni del 2009 alle 465 del 2019, una cifra che si è più che quintuplicata, mentre a livello italiano l’aumento è stato da 1.849 a 3.129, +59%. E con la pandemia la situazione è peggiorata, visti gli allarmi ormai quotidiani che arrivano da ogni provincia. Di fronte a cifre del genere non si può non parlare di un problema specificatamente Veneto, confermato dalle numerose zone carenti per quanto riguarda medici di famiglia, sono ancora 445 quelle scoperte, e pediatri. Da inizio legislatura su questo tema abbiamo già presentato una decina di atti ispettivi e una mozione, con risposte parziali e insoddisfacenti. Intanto la situazione continua a peggiorare”.

La situazione in Italia

“Negli ospedali italiani migliaia di medici e infermieri hanno scelto di appendere il camice al chiodo, anticipando la pensione oppure migrando verso più ‘tranquille’ cliniche private”. Consulcesi lancia l’Sos: “Il fenomeno della ‘Great Resignation’, la grande dimissione, segnalato negli Stati Uniti, sta raggiungendo numeri allarmanti in sanità” e il futuro dell’assistenza è a rischio, avverte il network dedicato al supporto delle professioni sanitarie, che per monitorare la “grande fuga” ha deciso di creare un Osservatorio dedicato e di attivare un numero verde per consulenze gratuite.

“A far scattare la molla della fuga è perlopiù il problema dei turni massacranti, turni di lavoro infiniti per sopperire alla carenza cronica di personale. Problema annoso che la pandemia non ha fatto altro che esacerbare. Almeno stando alle segnalazioni che arrivano a Consulcesi”, si legge in una nota. “In realtà la grande fuga dagli ospedali è già iniziata da tempo”, afferma il presidente dell’associazione, Massimo Tortorella. Dai dati del Conto annuale del Tesoro che fanno riferimento al 2019, risulta che il 2,9% dei medici ospedalieri ha deciso di dare le dimissioni: “Un’emorragia che pare essersi aggravata, specialmente in alcuni settori come quello dell’emergenza, dove il problema dei turni massacranti è certamente più evidente”. Tanto che lavorare nei reparti d’urgenza sta perdendo completamente il suo appeal: secondo le stime della Società italiana di medicina di emergenza-urgenza, solo nel biennio 2020/2021 il 18% degli studenti ha abbandonato il percorso di studi.

“Il nostro Servizio sanitario nazionale sta perdendo attrattiva: le condizioni di lavoro non sono adeguate e gli operatori sanitari non ci stanno più – evidenzia ancora Tortorella – Comprendere e monitorare questo fenomeno diventa di fondamentale importanza per il futuro della sanità italiana ed è per questo che abbiamo deciso di mettere in piedi un Osservatorio dedicato a questo scopo”.

“E’ inaccettabile che ancora oggi non si sia fatto nulla per mettere fine al problema dei turni massacranti”, incalza Tortorella. Già più di 10 anni fa – ricorda Consulcesi – l’Unione europea ha bacchettato l’Italia per il mancato rispetto della direttiva 2003/88/Ce che promuove il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori e che stabilisce un orario settimanale massimo di 48 ore, compreso lo straordinario, e un periodo di riposo giornaliero di 11 ore consecutive.

Pur recependo tale direttiva – prosegue la nota – dal 2008 al 2015 l’Italia ne ha vanificato gli effetti attraverso due diverse normative del 2008, che avevano efficacia solo per gli operatori sanitari. Il 25 novembre 2015 l’Italia si è infatti adeguata, ma solo formalmente, perché nei fatti le violazioni persistono. Per il periodo precedente a questa data è stato possibile chiedere il rimborso, oltre 80mila euro per 6 anni di lavoro. Sono già tanti i medici e i sanitari che si sono rivolti al network legale di Consulcesi, che dal canto suo ha fatto partire le prima diffide.

“Non lasceremo mai soli i nostri operatori sanitari, gli eroi che continuano a proteggerci dal grande nemico, il Sars-CoV-2, e da tutte le altre malattie che minacciano la salute dei cittadini”, assicura Tortorella. Consulcesi mette a disposizione un servizio di consulenza gratuita per avere informazioni sulla possibilità di intraprendere un’azione legale e tutelarsi tramite diffida per preservare i propri diritti, contattando l’800.122.777 oppure direttamente attraverso il sito www.consulcesi.it.

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