Va in scena al Teatro Comunale di Thiene, sabato 25 febbraio alle 21.30, il concerto di Eugenio Finardi che porta sul palco uno delle suoi ultimi progetti: ‘Euphonia Suite‘. Non si tratta di un normale concerto, tra l’altro già sold out, l’artista vuole andare oltre i classici cliché. Grazie all’intesa con due straordinari musicisti, Mirko Signorile e Raffaele Casarano, crea un progetto nuovo, rispolverando i tempi del prog. Una suite che raggruppa i suoi brani in un “Flow” trascendentale, un viaggio emozionale, un flusso ininterrotto di sue canzoni intrecciate tra loro che hanno la capacità di prendere per mano l’ascoltatore e portarlo ad immergersi nelle sue emozioni inconsce, tramite una serie di cambi di armonie, cambi di senso e funzione a seconda della tonalità. Un progetto che porta l’artista a mettersi in gioco ancora una volta, proponendo al suo pubblico qualcosa di nuovo, una sfida con sé stesso per donare nuove emozioni. Dopo gli ultimi duri anni, l’intenzione di Finardi è quella di donare un ‘balsamo per l’anima’, leccare le proprie ferite tramite la musica esaltando sentimenti e stati d’animo da trasformare in energia positiva e produttiva, accettando ciò che emerge.

Ci parli del progetto ‘Euphonia Suite’, in questi mesi in tour in tutta Italia.

“Nasce durante il lockdown. C’era questo silenzio, questo vuoto, un periodo in cui era difficile anche cantare perché non c’era il pubblico. Ho sentito il bisogno di fare qualcosa che fosse estraniante, che portasse lontano da questo quotidiano, da questa immobilità, dal guardarsi l’ombelico. Quindi ho pensato a questa suite, aiutato dalla lettura di un servizio di un neurologo musicista che spiegava come la musica ha un effetto quasi come una sostanza stupefacente, può portare calma, blandisce lo spirito oppure esorta alla guerra come le cornamuse che portano gli inglesi all’attacco. La musica ha un forte effetto psicologico quindi ho pensato di creare questa suite, che dura poco più di un ora, in cui tutte le emozioni potessero scorrere come un fiume attraverso le canzoni, i testi, l’atmosfera delle musiche. E’ come se si facesse un’esperienziale, un viaggio attraverso i ricordi, le emozioni, i diversi stati d’animo. Ci sono momenti diversi proprio perché concepito come una suite classica con l’andante, l’apertura, una parte d’allegretto, la fase più riflessiva. Attraversa molti momenti, da vivere come un’esperienza. Ti chiede di entrare ed essere presente a te stesso per circa un ora e mezza, quando siamo dal vivo. E di solito la risposta è entusiastica. Forse il più grosso nemico di questo progetto sono io stesso, perché la gente pensa che siccome magari mi ha già visto 10 anni fa, non sia cambiato nulla. Questo è qualcosa di assolutamente nuovo, è dai tempi del prog che non si facevano le suite. E’ un balsamo, un massaggio per l’anima”.

E ce n’è bisogno dopo quello che l’umanità ha passato in questi anni…

“Assolutamente sì, credo infatti sia utile proprio per questo. Inoltre è qualcosa di diverso da ciò che faccio di solito, lo vedo come un approfondimento. C’è l’occasione di vivere finalmente qualcosa di collettivo finalmente. E la cosa bella è che ogni concerto è diverso, ad esempio a Thiene porterò qualcosa di diverso come per le altre tappe. A seconda del luogo, acustica, pubblico, di come ci sentiamo, si creano ogni volta nuove esperienze, un nuovo coinvolgimento. I miei colleghi sul palco mi guidano soprattutto il pianista, siamo alla pari”.

Quest’anno festeggia 50 anni dall’uscita del suo primo disco, 51 anni dalla firma del contratto con Mogol. Che riflessione si sente di fare ricordando questo tempo trascorso?

“Ero militare quando è uscito il mio primo disco, uscì a giugno 1973. E’ stato uno strano viaggio, si attraversano epoche che per me erano ieri. Come le storie che mi raccontava mio padre, oggi sono storia”.

La sua musica ha la capacità di essere sempre contemporanea. I suoi testi parlano di verità di allora ma attuali perché toccano anche temi, come nel caso del suo ultimo singolo “Katia”, che ogni generazione affronta.

“Sì, Katia è una storia antica come il mondo, il primo amore degli undici anni, della quinta elementare, quando quelle fastidiose bambine di colpo hanno qualcosa di nuovo. Ogni generazione però ci passa, come ‘Piccolo grande amore’, ‘Extraterreste portami via’. Il cinema è un po’ come se avesse fatto la storia della società italiana, le canzoni invece sono state l’inconscio collettivo degli italiani, ce ne si accorge quando c’è Sanremo, quando ci accorgiamo di aver tatuato ‘Felicità’ da qualche parte nella nostra mente”.

Ha visto Sanremo? Cosa ne pensa degli artisti di quest’anno?

“Quest’anno ho trovato canzoni un po’ con meno qualità rispetto agli anni scorsi. Anche ‘Brividi’ di Mahmoud e Blanco era una canzone più bella, quella dei Maneskin che hanno dato un colpo di vita, hanno realizzato il sogno che io avevo a 20 anni, assomigliavo molto anche a Damiano guardando le mie vecchie copertine. Era il mio grande sogno di allora, sfondare nel mondo. Ci sono riusciti e ora tutti li odiano, non capisco perché. Non dico che siano i Beatles, ma diamo loro almeno una possibilità. Niente di terribile e niente di eclatante. Quello che posso dire mi sia piaciuto più di tutti e che nessuno ha considerato è stato Olly con il suo pezzo ‘Polvere‘, un pezzo allegro scritto alla Coldplay, ritmo ballabile, pezzo che mi ha divertito. Colapesce e di Martino sono una garanzia che secondo me hanno fatto un altro pezzo, non bello forse come ‘Musica Leggerissima’, ma quasi ed Elodie rock, diciamolo. Nel momento del duetto è stata sorprendente, quindi Elodie, mollala di fare canzonette e la gnocca e buttati a fare il rock, potrebbe essere più la sua strada. Alla Gwen Stefani, ha fatto vede un altro suo lato”.

E di Blanco cosa ne pensa? Era qualcosa di preparato visto il suo video?

“Forse doveva fare qualcosa del genere, ma ti assicuro, da parte di chi ha fatto tre volte Sanremo, dalle prime note che ha fatto lui si è toccato la spia all’orecchio e ha fatto segno che non si sentiva niente, e diventava sempre più nervoso. Io lo capisco, avrebbe dovuto mantenere lucidità, calma fredda e fermarsi ma come fai, fermi Sanremo?! In quel momento non senti niente, hai la grande occasione, hai 20 anni, sei l’ospite, hai avuto un successo esplosivo. Il successo è come un incidente, è come andare a sbattere contro un muro, ti stordisce e ti travolge. Si chiama appunto ‘successo’ perché è qualcosa che accade, avrebbero potuto chiamarlo l’incidente. Ti cambia la vita di colpo, drasticamente, ti senti addosso delle pressioni pazzesche, due mesi che ti prepari, tutti vestiti di bianco, le rose e poi la spia non funziona? E’ chiaro che sia andato in paranoia. Non doveva, certo. Che adesso addirittura lo denunciano mi sembra davvero eccessivo e ridicolo. Ci dovrebbe essere più comprensione e più garanzie, perché non succede all’Eurovision e succede a Sanremo?”

Le sue canzoni hanno raccontato la Storia, spaccati di vita, sfumature della sua vita che però fanno parte di epoche reali. Pensa che la musica al giorno d’oggi abbia ancora un po’ questo ruolo? Pensa che riesca veramente ad aiutare i giovani e l’ascoltatore tramite i testi? Chiedo a lei che è un grande paroliere.

“Sì, anche perché lo dimostra il fatto che i testi si ripetono in un certo senso. Tralasciando testi d’amore o generici, ci sono testi che sono di vita vera e dei testi che sono studiati a tavolino. Empatia La musica ha il vantaggio di rendere lo scambio comprensibile a tutti, va oltre il linguaggio è un’arte matematica. Quando ci aggiungi le parole, anche loro diventano più importanti ed è vero, ognuno porta la testimonianza della sua vita. E’ una delle cose divertenti e belle da vedere quando si raggiunge la mia età, ho visto ‘più di tre giri di giostra’ come dice un detto americano. Trovo molto divertente ad esempio vedere come ogni generazione ha cantato il rapporto con i figli, o il rapporto con l’Italia. Io ad esempio che ho avuto la mamma americana, quando ho sentito Ghali che ha scritto un pezzo, “Italiano”, che tratta gli stessi argomenti che io ho trattato in una canzone che si chiama “Dolce Italia” negli anni 80, lui li ha cantati nel 2010, qualcun altro ha trattato l’argomento nel 2000 come Jovanotti”.

Pensa quindi che stiamo perpetuando negli stessi errori nel corso degli anni?

“Credo che stiamo facendo gli stessi passi, si fanno anche gli errori, gli errori portando ad una crescita. Io ho fatto tutti gli errori che si possano fare in una carriera. Una vita senza sbagli è una vita in cui accadono poche cose, un po’ statica. Se non ti muovi mai non perdi mai. Con il senno di poi ci sono anche delle cose che non rifarei, ma tante anche. Come tante che rifarei. Senza tanti errori non ci sarebbero tante canzoni”.

Ha cantato anche l’amore e una delle sue passioni di vita è sicuramente la sua famiglia, i suoi figli e sua moglie Patrizia.

“Sì, di mogli ne ho avute due ed entrambe si chiamano Patrizia. Con la seconda moglie Patrizia ho avuto altri due figli, è vedova di un importante designer che aveva anche fatto tre mie copertine, ma io all’epoca non l’avevo conosciuta. L’ho conosciuta dopo la morte del marito ed è dal 96 che stiamo insieme. La prima era vicentina tra l’altro, di Cavazzale, Monticello Conte Otto. Purtroppo non è più tra noi, con lei ho avuto due figli. Quindi state attenti che conosco il vicentino! Quando arrivo nel vicentino, dopo un po’ mi parte l’accento. Pensavo di fare qualcosa con Tik Tok in occasione del mio arrivo a Thiene del tipo: “Dai venì tutti, che ze un concerto massa belo, interessante, diverso dal solito ciò!”. E’ una zona che conosco bene da parte della mia prima moglie, ho dei bei ricordi del vicentino”.

Cosa pensa di aver trasmesso ai suoi figli di importante, che sono una parte fondamentale della sua vita?

“La mia prima figlia è nata con la sindrome di Down. Elettra ha un po’ condizionato l’arrivo degli altri figli, non li ho avuti in età ravvicinate, hanno 9 anni di distanza l’uno dall’altro. Quindi li ho cresciuti anche in età mie diverse. Ho cercato di essere un padre onesto. Non è facile essere figli di un cantante o di un personaggio pubblico, non è facile essere ‘mio figlio’. Non è facile essere figli in generale ma anche essere genitori. Però tutto sommato, vedendo come sono i miei figli, non ho fatto tutto sbagliato. Poi bisognerebbe chiederlo a loro, sono loro che poi testimoniamo il nostro operato. Posso dire di avere un rapporto molto caldo con loro, di solito si sente di chi ha un rapporto freddo con il padre che vuole mantenere il suo stato Alfa, non vogliono mostrare le loro emozioni e cercando di essere distaccati. Io no. Ho un rapporto molto fisico, di abbracci. Non tutto è verbale. Credo che sia proprio questo che tiene insieme una famiglia, il rifugio, il luogo sicuro, il posto dove puoi aprirti”.

Qual è il segreto di questa unione duratura con la sua Patrizia secondo lei?

“Direi il supporto, soprattutto nel secondo matrimonio si incontrano due realtà, a casa nostra ci si rende conto che ci sono due stili di arredamento messi insieme. Ad un certo punto ti rende unito il fatto che è la persona che conosci meglio e che ci conosce meglio. E’ come l’amicizia, alla base di una lunga relazione c’è anche l’accettazione dell’altro, come con i figli. Quando si aspetta il primo figlio ci sono sogni e speranze, aspettative sul loro futuro. Poi nascono e sono quello che vogliono essere loro. Quindi anche la presa di coscienza di rispettare l’altro per ciò che è. E questo l’ho imparato anche in modo drammatico con la nascita della mia prima figlia Elettra, ho capito che non era più un mio sogno ma una mia responsabilità. Ora mia figlia è una donna, ha 40 anni. E quando si arriva a questa età diventi meno militante e più accettante. A 20 anni mia figlia ha sentito che aveva molta indipendenza, prendeva il metrò, andava in giro però le costava molta fatica e ha scelto di andare a vivere in una struttura, ci ha confessato di voler andare a vivere come ha detto lei ‘con quelli come me’. Voleva stare con chi la comprendesse fino in fondo e insieme a loro fa gite, vacanze, e in una grande città non era facile. Quindi ha voluto creare la sua vita come la faceva stare più a suo agio”.

Un’altra sua passione è l’astronomia, astrofisica, come anche la fantascienza. Per certi versi in questi ultimi anni abbiamo davvero vissuto qualcosa di fantascientifico.

“Diciamo che ci siamo consolati, dopo quello che abbiamo passato, con una bella attività umana che è la guerra. Questa passione comunque arriva da mio padre. Credo nella sacralità della scienza. Secondo me è una delle più grandi evoluzioni della mente umana, in fondo è stato Galileo 500 anni fa a scoprire che la verità non era rivelata dall’alto ma che si svelava tutti i giorni come una cipolla, quasi all’infinito, c’è sempre qualcosa da scoprire. Credo sia molto profondo e anche molto responsabilizzante. Forse uno dei segni della nostra epoca è che si vede sempre meno il cielo. Mi ricordo da bambino o quando sono stato in Africa con Medici Senza Frontiere in mezzo al nulla, nel sud del Sudan non c’era una luce se non quella delle stelle. Sembrava si potessero toccare. E la musica usa le stesse leggi dell’universo. La musica è fisica newtoniana applicata, sia arriva fino ad Einstein con la musica e in certo senso si può dare un’immagine della realtà quantistica come vago esempio, come una porta che vibra solo nel momento in cui la guardi sai dov’è esattamente altrimenti ne percepisci la vibrazione. Trovo che ci sia una grande poesia. Trovo che il Cern di Ginevra sia la cattedrale più poetica che ci sia al mondo. La vera cattedrale del nostro tempo dove si può arrivare a capire e scoprire la natura delle cose. Il difetto della scienza è che le sicurezze e le certezze che da sono presto prese per scontate”.

 

Laura San Brunone

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