I dati diffusi sono allarmanti: nel 2020, due anni dopo Vaia, le superfici di bosco intaccate dal bostrico sull’Altopiano si estendevano complessivamente per 8 ettari. Nel 2021 lo stesso dato è passato a 35 ettari, alla fine del 2022 erano 138 gli ettari interessati. Ciò significa che l’infestazione cresce al ritmo di quattro volte all’anno. Il totale della superficie bostricata ad oggi è stimata in 180 ettari.

La Regione Veneto con l’Università di Padova e Veneto Agricoltura ha  presentato (martedì 28 marzo, ndr) i dati relativi all’epidemia da bostrico tipografo che sta flagellando i boschi dell’Altopiano, come quelli delle vallate alpine interessate dal passaggio della tempesta Vaia. Si tratta infatti di un effetto collaterale annunciato dopo il peggior evento atmosferico che nel 2018 ha lascito a terra 8,5 milioni di metri cubi di legname. L’enorme quantitativo di schianti, gli inverni miti e le estati secche, hanno creato le condizioni ideali per la diffusione del coleottero. Questo parassita dell’abete rosso normalmente attacca alberi malati o danneggiati penetrandone la corteccia e prosperando a discapito della pianta (specie arborea tanto diffusa quanto preziosa per il patrimonio dei Comuni) fino alla sua completa essiccazione.

Le condizioni degli ultimi quattro anni però, hanno permesso alle popolazioni di bostrico di crescere e rafforzarsi a tal punto da intaccare anche gli alberi sani, con effetti che sono ben visibili e in continua.

Gli effetti si ripercuotono su più fronti: su quello ambientale, aumentando esponenzialmente il rischio di dissesto idrogeologico e la stabilità dei pendii, venendo a mancare la capacità di ancoraggio al terreno delle radici, di assorbimento dell’acqua e dell’anidride carbonica; su quello paesaggistico-turistico, con lo stravolgimento della fisionomia della montagna e, non da ultimo, su quello economico. Gli introiti generati dalla gestione del patrimonio boschivo costituiscono una risorsa storica per i bilanci dei Comuni dell’Altopiano e il mercato di riferimento per gli operatori di settore.

Cos’è stato fatto e cosa si può fare per contrastare questo fenomeno? Nel corso dell’incontro, coordinato da Silvia Majer, direttore dell’Unità Organizzativa Foreste e Selvicoltura della Regione Veneto, sono state articolate le azioni definite dalle Linee Guida regionali.

Tra le linee di intervento avviate, si è approfondita la prima fase, quella del monitoraggio e mappatura dell’infestazione. Nella primavera scorsa, sull’Altopiano sono state posizionate 19 trappole a feromoni, ovvero delle apposite strutture di richiamo dove gli insetti vengono attirati senza aver modo di uscire. Soltanto quella posizionata a Foza, ad oggi ha raccolto più di 78 mila coleotteri, il numero più alto delle catture nei Sette Comuni, segno che in questa zona dell’Altopiano l’infestazione si sta propagando ad un ritmo maggiore rispetto al resto del territorio. Si tratta in ogni caso di uno strumento di monitoraggio, utilizzato dai tecnici per seguire l’evoluzione del fenomeno più che per contrastarlo. Significativo che la soglia di attenzione sia fissata a 7 mila catture l’anno per identificare l’inizio di un’epidemia.

Tra i pochi interventi di lotta attiva possibili, quello del posizionamento di “piante esca”: alberi sani posizionati con il preciso scopo di attirare gli esemplari in modo da riuscire a bloccarne la riproduzione e contrastare così la diffusione. Di fatto, è stato spiegato, non esistono strumenti di contrasto efficaci perché lo spostamento delle popolazioni è imprevedibile e il loro prosperare dipende da molti fattori diversi tra cui il clima e l’andamento delle stagioni.

Nell’immediato, si tratta quindi di adottare soluzioni che facilitino le operazioni di esbosco con la massima tempestività possibile, prima che il legname venga ulteriormente intaccato. Sono state anche illustrati i fondi che possono intervenire a supporto dei gestori di proprietà forestali e degli operatori del settore.

Sul tema è intervenuta Sabrina Maino, presidente di Mestiere Legno dell’Area Nord Est di Confartigianato Imprese Vicenza: “Le contromisure adottate per arginare questo fenomeno sono poco efficaci e cresce la preoccupazione per la disponibilità di materia prima negli anni a venire”.

In provincia di Vicenza sono 214 le imprese attive nella prima lavorazione del legno: il 44% sono imprese boschive e forestali, il 37% le imprese di segagione, il 19% i produttori di imballaggi in legno.

Di fronte a questa situazione le imprese devono mostrare compattezza a livello locale, come a livello regionale. La situazione in Altopiano è drammatica, nell’Agordino e nel Comelico ancor peggiore. La minaccia è comune e anche gli strumenti per fronteggiarla devono trovare la stessa applicazione”, ha aggiunto la presidente.

Maino ha espresso perplessità sulla linea anticipata dalla Regione di attivare uno strumento a sostegno alla nascita di nuove imprese boschive e forestali, al pari di quanto avviene con il Primo Insediamento in Agricoltura: “La maggior parte delle aziende e delle segherie hanno fatto ingenti investimenti. La prospettiva incerta dei prossimi anni mette a rischio la filiera esistente; il reperimento della materia prima lavorabile sarà un problema per chi è già presente sul mercato, figuriamoci per chi entrerà da qui in avanti”. Ha lanciato infine un appello alle autorità: “Piuttosto, riteniamo utile sostenere le forme di aggregazione tra le imprese, che permettano di approcciare il mercato con soluzioni più organizzate, che ci permetterebbero di affrontare emergenze come questa con maggiore efficacia. I fondi potrebbero poi essere orientati a riconoscere una premialità per la cura e pulizia del bosco, in modo che i cantieri non vengano abbandonati a se stessi alla fine dell’esbosco. Serve maggior coesione anche tra i Comuni, per lo sviluppo della viabilità di accesso e delle aree di stoccaggio del legname, elementi fondamentali per il patrimonio boschivo. Nella programmazione della riforestazione sarà opportuno coinvolgere l’intera filiera”.

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