Conosce bene, eccome, il modo della ristorazione e alberghiero. Non fosse altro per la discendenza da una famiglia di ristoratori di successo e la passione per l’accoglienza di nonno Alfredo. Roberto Astuni, assieme alla moglie Daria Conte, gestisce l’Hotel Alla Corte di Bassano di Grappa. Un passato da presidente degli albergatori del mandamento di Bassano del Grappa e nel consiglio d’amministrazione del Consorzio Turistico Vicenza ma conosce molto bene le dinamiche della provincia. Anche su Asiago e dintorni.

Cosa servirebbe alla provincia di Vicenza per essere più attrattiva?

«Non c’è una legge nazionale in materia, ogni Regione fa per conto proprio. Invece sarei favorevole per una norma italiana, perché quando si va all’estero, gli altri si promuovono come nazione. Si dovrebbe dividere il territorio per destinazioni: Asiago ha esigenze diverse rispetto a Vicenza e il capuologo non è Bassano».

Com’è stata la stagione turistica estiva a Bassano? E quali prospettive ci sono per il futuro?

«I numeri sono andati alla grande, anche superiori al pre Covid. Sono tornati gli americani e l’estate è stata proficua. Ora l’inverno sarà un’incognita, proprio per i costi in crescita come la corrente e il gas. Il turista s’immerge nel territorio e trovare dei nostri piatti, gli dà sicurezza».

Lei in albergo ha molti giovani. Perchè di questa scelta?

«Il mondo si è stravolto nel recente passato. Prima del Covid, avevamo delle persone con contratti a chiamata ma quand’è passata la pandemia, nessuno si è più ripresentato. Ora stiamo tornando alla normalità. Dobbiamo tornare al concetto di comunità nel posto di lavoro, al benessere delle persone: ad esempio, siamo aperti tutto l’anno ma ci sono dei momenti dove chiudiamo, anche la domenica. La vita in questo settore è faticosa, si lavorano i festivi e qualche stagista si ritira dalle scuole alberghiere una volta capito come funziona il mondo del turismo».

Anche la scuola dovrebbe riformarsi…

«Sì, perché tanti ragazzi preparano benissimo le tavole ma davanti a un cliente scappano. Invece di tante materie inutili, insegnamo un po’ di psicologia, proprio per capire chi si ha davanti e come regolarsi di conseguenza. Tutti hanno buoni prodotti ma dobbiamo fare la differenza sul servizio».

Qualche anno fa, lei coniò il termine di “federalismo gastronomico”. Diciamo che non ha nulla a che fare con la politica ma cos’è, nello specifico?

«Quando si va a mangiare in un ristorante etnico, su 10 euro spesi dal cliente, 8 non restano nel territorio perché l’imprenditore acquista prodotti altrove. E c’impoveriamo, perché i soldi vanno in altre regioni o in altri stati. Se facessimo il contrario, gli 8 euro rimarrebbero da noi. Credo sia l’unico modo di salvare il mercato».

Perché fare un Piwi Fest nella sua struttura?

«È una naturale continuazione della prima Piwiteca d’Italia aperta qualche mese fa per dare spazio ai piccoli produttori. L’idea è stata di portarne qui il più possibile e avere venti etichette insieme di vini resistenti».

Parliamo un po’ di questi vini resistenti. Cosa sono?

«Fanno bene alla salute, prima di tutto, e anche all’ambiente. Inoltre questi temi sono molti caldi in questi anni; stiamo vedendo cosa sta succedendo con i cambiamenti climatici in atto e credo che tutta l’agricoltura debba rivedere i suoi processi e livelli di coltivazione. Già da un po’ si sta ritornando alle origini, non solo con il biologico ma con tante altre idee a salvaguardia dell’ambiente. E oggi i vini Piwi, ottenuti da vitigni resistenti, sono l’unica soluzione per intraprendere questo percorso. Ovviamente serve conoscerli e perché sono nati».

Il mercato come sta recependo questo tipo di prodotti?

«Molto bene, anche se è una “novità” con secoli di storia. Quando la filossera distrusse tutti i vigneti d’Europa a fine Ottocento, s’iniziò a pensare al futuro della viticoltura. Ora si è riusciti a produrre vini eccellenti, perché si è lavorato molto sui semi e le piante, presentando zero chimica».

Qui nel ristorante dentro all’Hotel Alla Corte abbinate i vini Piwi. Che cucina proponete?

«Seguiamo i prodotti di stagione; in primavera, ad aprile e maggio, in tavola mettiamo l’asparago bianco di Bassano, questo è il periodo dei funghi provenienti dalla Valsugana, sino ad arrivare in inverno con il Broccolo di Bassano: ci facciamo coltivare delle piantine già a luglio, a distanza di 7-10 giorno l’una dall’altra, in modo da avere quello precoce, normale e tardivo».

Alessandro Ragazzo

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