Il futuro delle località sciistiche è messo in discussione dal cambiamento climatico, e gli operatori fanno a gara per cercare di adattare l’offerta turistica e rendere la montagna attraente anche con poca  neve. Anche i più ottimisti ammettono che come minimo la stagione dello sci è destinata ad accorciarsi rispetto ai tradizionali 5 mesi (dicembre-aprile) della tradizione della seconda metà del Novecento.

E’ stato calcolato che solo nell’improbabile caso che si riescano a ridurre le emissioni inquinanti per restare sotto i 2 gradi di aumento della temperatura entro la fine del secolo la stagione della neve conterrà la riduzione sotto a un quinto, il 17% circa. Ogni grado in più di temperatura globale, secondo il Wwf, equivale a un mese in meno di neve. Come si può vedere dalle impressionanti immagini satellitari invernali, dove ormai il colore marrone scuro prevale sul bianco quasi ovunque, il fenomeno interessa tutte le montagne del mondo, e le Alpi non fanno ovviamente eccezione. Secondo le stime degli scienziati, i ghiacciai alpini dimezzeranno il loro volume di qui al 2050 e il 95% sparirà entro il successivo mezzo secolo. Le stazioni sciistiche più basse, fondate negli anni ’60 del secolo scorso, cominciano a chiudere i battenti e a puntare su altre attività. Quelle che restano aperte sono costrette ad aumentare i prezzi, rendendo lo sci uno sport sempre più di élite. In compenso, la pandemia ha fatto aumentare la richiesta di soggiorni primaverili ed estivi in montagna, e i prezzi delle case nelle località alpine sono in forte crescita.

 

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