Il Veneto dimostra che la trasparenza è possibile, ma da sola non basta. La regione che si  proclama “il motore economico d’Italia” non brilla per i consultori, linee guida applicate, personale non obiettore e soprattutto la volontà politica di considerare l’aborto per quello che è: un diritto sanitario, non un tabù ideologico. Perché senza accesso garantito e informazione libera, il diritto resta solo sulla carta.

In occasione della Giornata Internazionale per l’Aborto Sicuro, celebrata il 28 settembre, l’organizzazione Medici del Mondo ha presentato alla Camera dei Deputati il suo terzo rapporto annuale sull’Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG) in Italia. Un’analisi impietosa che mette in luce un dato tanto invisibile quanto decisivo: la cronica assenza di dati ufficiali completi, aggiornati e accessibili, che ostacola l’accesso a un diritto sanitario fondamentale. Un report che, tra le tre regioni osservate quest’anno, dedica un focus particolare anche al Veneto.

Veneto virtuoso per trasparenza, ma i consultori sotto il minimo

Il Veneto si distingue, paradossalmente in positivo, per essere l’unica Regione italiana a pubblicare sul proprio portale istituzionale dati aggiornati sull’aborto, inclusi quelli sull’obiezione di coscienza, in formato aperto e leggibile. Nel 2023 il 66,6% dei ginecologi veneti risultava obiettore, con punte drammatiche come Venezia (86%) e aree più virtuose come la Pedemontana (35,48%). Anche il ricorso all’IVG farmacologica è in crescita, passando dal 53% del totale nel 2023 al 64% nel 2024. Eppure, non tutti gli ospedali offrono questo servizio, e il sistema resta profondamente squilibrato sul piano territoriale.

Il vero punto dolente, tuttavia, è la rete dei consultori pubblici. Il Veneto ha una delle coperture più basse d’Italia: una sede ogni 50.000 residenti, contro lo standard raccomandato di una ogni 20.000. In alcune province, questi servizi sono del tutto assenti, mentre solo l’1,9% della popolazione di riferimento vi accede.

«Un servizio poco accessibile diventa un servizio poco utilizzato – denuncia Medici del Mondo – e questo, invece di portare a un rafforzamento, genera la sua ulteriore marginalizzazione. Un circolo vizioso che condanna i consultori a un lento svuotamento.» A peggiorare la situazione, la Regione non ha ancora adottato le linee guida nazionali per l’aborto farmacologico nei consultori tramite RU486, nonostante le indicazioni ministeriali. Anche su questo fronte, il dibattito pubblico è completamente assente.

Un problema politico, non tecnico

Come sottolinea il rapporto, la mancanza di dati e trasparenza non è solo una questione burocratica, ma rappresenta una precisa scelta politica. In Italia, il Ministero della Salute è obbligato a presentare una relazione annuale sull’attuazione della legge 194. Ma, nella pratica, i dati arrivano con anni di ritardo, sono incompleti e non disaggregati.

Nel frattempo, iniziative civiche e giornalistiche cercano di colmare questo vuoto informativo. Tra queste, il progetto “Mai Dati” di Sonia Montegiove e Chiara Lalli e la mappa di Obiezione Respinta, che raccolgono dati dal basso tramite accesso civico o testimonianze dirette. Tuttavia, la risposta istituzionale resta insufficiente, e le mappature ufficiali – come quella del Ministero, aggiornata solo al 2023 – non consentono un orientamento efficace per chi cerca un servizio in tempi rapidi.

Il prezzo della frammentazione

Il risultato, anche in Veneto, è una frammentazione profonda dell’accesso all’aborto: a seconda della provincia, o persino dell’ospedale, una donna può trovare un servizio efficiente o dover affrontare attese, viaggi fuori regione o il ricorso al privato.

Questa lotteria territoriale rappresenta una violazione strutturale del diritto alla Salute. E il Veneto, da quello che dimostrano i dati, resta drammaticamente indietro sulla qualità e capillarità dell’offerta.

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