C’è una collina di Breganze che custodisce un segreto: non un luogo chiuso, non un rifugio, ma una comunità che da oltre quarant’anni restituisce alle persone la possibilità di tornare protagoniste della propria vita. Si chiama Ca’ delle Ore, e chi varca il suo cancello porta sulle spalle dipendenze, errori, dolori, cadute. Ma dentro quelle mura trova molto più di un percorso di cura: trova uno spazio in cui l’essere umano viene visto, ascoltato, rispettato. Qui non si parla solo di liberarsi da una dipendenza. Qui si parla di rinascere come persone, di scavare dentro sé stessi fino a scoprire potenzialità che sembravano sepolte. È un cammino duro, a tratti scomodo, ma capace di restituire dignità, responsabilità e futuro.
La Comunità Terapeutica “Cà delle Ore” nasce a Breganze il 25 giugno 1981 per volontà dei frati minori Veneto-Friulani, nel tentativo di dare una concreta risposta al fenomeno della tossicodipendenza. Gestita dai soci della cooperativa omonima e da Padre Ireneo che ne è l’Anima, offre la possibilità ad ogni individuo che vi entra di ricercare il senso più profondo della sua esistenza attraverso un percorso di cura e conoscenza di sé. Ca’ delle Ore è una villa immersa nel verde e un contesto paesaggistico unico che favoriscono la riflessione e l’introspezione personale. Il presidente Mauro Zanetti e il direttore Matteo Trevisan sono due figure di riferimento pregnanti e il loro valore all’interno della struttura che restituisce vite devastate dalla droga, va ben oltre la professionalità.
Il racconto di chi si sta curando
“Sei sicuro che entrare in comunità sia il vero fallimento? Sfido chiunque a vivere una vita senza sbandamenti. La mia vita stava andando a rotoli, avevo perso la capacità di fare progetti e non riuscivo a trovare un senso a tutto quello che facevo. Mi avevano detto: vai in comunità… Entrare in comunità? Quel posto dove ci va solo chi è un fallito o ha toccato il fondo? Erano queste le parole che mi risuonavano continuamente in testa a causa dei pregiudizi che questa scelta comporta. Ma non avevo altre soluzioni: o entravo o avrei perso tutto, perfino la vita. Era forse questo il momento in cui mi stavo rialzando? Era forse questo il momento in cui stavo facendo per la prima volta la cosa giusta? Già dal momento in cui sono entrato ho capito che la risposta era SÌ. È da falliti scegliere di chiudersi volontariamente tra quattro mura per un tempo indefinito? È da deboli decidere di abbandonare quelle poche certezze e affetti che avevo? Mi ci è voluto del tempo per capire che non ero più un fallito avendo preso in mano la mia vita, ma il vecchio me fuori da queste mura lo sarebbe ancora stato. E tu, sei pronto a smettere di essere un fallito e a prendere in mano la tua vita?”
A Ca’ delle Ore non esistono etichette: ogni ospite è unico, con la sua storia e le sue ferite. L’équipe multidisciplinare: operatori, psicologi, psicoterapeuti, psichiatra, insegnanti di attività, volontari, costruisce percorsi personalizzati, cuciti addosso a chi arriva. Le terapie tradizionali si intrecciano a pratiche che parlano al corpo e all’anima: yoga, shiatsu, musicoterapia, mindfulness, tai-chi, rugby. Ma anche laboratori creativi come la liuteria o la lavorazione di gioielli, uscite in montagna o in barca a vela. Non attività di contorno, ma strumenti per imparare ad ascoltarsi, misurarsi, scegliere.
Le testimonianze raccontano meglio di qualsiasi dato
Mauro, volontario storico, accompagna i ragazzi tra le montagne o in barca a vela: “Molti di loro non hanno vissuto cose buone. Il volontario porta cose buone e belle”. Un ex tossicodipendente di Mestre, 28 anni, racconta: “ Sono qui da un anno e mezzo: è cambiata in meglio, sta cambiando. Prima poche terapie… ora finalmente si lavora davvero”. Alla domanda se sia stato lo stimolo di una donna o di un uomo ad aiutarlo, risponde: “Gli altri erano una parte del mio problema. Qui invece ho trovato ascolto. Nessuno cresce da solo”.
Oggi nella comunità vivono 20-25 ragazzi, tutti maggiorenni. Le loro storie, se ascoltate davvero, toccano l’anima. “Siamo artigiani delle relazioni – spiega lo psichiatra Giovanni Carollo, che è stato molti anni a capo della comunità e vi lavora ancora– stiamo accanto a coloro che bussano alla porta. Generiamo cambiamenti sociali, rinnoviamo il territorio, costruiamo nuove esperienze e opportunità. Qui c’è tempo per la persona. Qui c’è famiglia”. E la famiglia si vede anche nei dettagli: tra di loro si ride, si scherza, si impara la costanza.
“Riusciamo a portare a termine le cose, con determinazione. Facciamo cose che prima non immaginavamo nemmeno di poter fare”. Dal 1981 a oggi più di 850 persone hanno trovato qui una possibilità di rinascita. Il tasso di utilizzo dell’86%, i 20 professionisti in équipe, i 25+ volontari e i 25.000 metri quadrati di spazi immersi nel verde raccontano una realtà solida, riconosciuta dalla Regione Veneto e accreditata per i trattamenti residenziali e semiresidenziali. Numeri che impressionano, certo, ma che restano secondari di fronte a ciò che accade ogni giorno: vite che si rimettono in moto, famiglie che ricominciano a sperare, ragazzi che imparano a scegliere di nuovo.
Dietro a tutto questo, ci tengono a sottolinearlo il direttore ed il presidente della comunità, c’è la visione di Padre Ireneo Forgiarini, frate umile e instancabile, che nel 1981 seminò un’idea rivoluzionaria: creare un luogo in cui i fragili non fossero giudicati, ma accompagnati. La sua eredità vive ancora oggi in ogni operatore, in ogni volontario, in ogni ospite che trova qui la forza di rialzarsi. Ca’ delle Ore non è solo una comunità. È una promessa: che nessuno, anche dopo le cadute più dure, è condannato a restare a terra.
Ndr
Questa è solo la prima parte del racconto di una giornata trascorsa nella comunità di recupero per tossicodipendenti Ca’ delle Ore, dove le storie dei ragazzi che per colpa della droga sono caduti, si sono intrecciate con quelle di chi si è messo al loro servizio per aiutarli ad uscire dal tunnel. In uno scambio reciproco di umanità.
Valentina Ruzza
