La carenza di figure professionali negli ospedali italiani è diventata endemica. Da una recente rilevazione dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp), il personale medico del Servizio Sanitario Nazionale tra il 2008 e il 2018 ha perso ben 41mila unità, mentre parallelamente aumenta l’età media dei camici bianchi.

Se le cause sono in parte da ricercare in una pessima programmazione della formazione di figure professionali da parte delle nostre università, sono anche più grossi i problemi legati alla retribuzione, alle prospettive di carriera, e allo sforzo fisico, che rendono sempre meno attraente l’impiego nella sanità pubblica e favoriscono l’esodo del personale dal Ssn.

Come si può leggere sul sito della Federazione Nazionale dell’Ordine dei Medici (FNOMCeo), “in 5 anni sono state più di 5000 le richieste da parte di medici italiani che desiderano trasferirsi all’estero. Varie le motivazioni: per lavoro, per acquisire esperienza e pratica nell’ambito chirurgico, per aspetti culturali e religiosi e per interesse scientifico, in particolare per fare ricerca. Le richieste sono arrivate per il 65% da giovani, per il 25% da pensionati, per il 15% da medici in attività e per il 5% da associazioni e comunità che si occupano di cooperazione.”.

Queste gravi carenze mettono a rischio chiusura centinaia di studi e reparti in tutto il territorio nazionale. L’allarme è stato oramai lanciato da anni, ma la politica non ha mai risposto.

Così, per tamponare le falle del nostro sistema, ci si sta rivolgendo ai medici stranieri.

Secondo l’associazione dei medici stranieri in Italia (Amsi), grazie ai professionisti stranieri, da gennaio al 31 agosto di quest’anno, è stata evitata la chiusura di ben 492 tra reparti in ospedali pubblici e cliniche private. Nel Veneto l’assunzione di 102 sanitari di altri Paesi ha permesso di conservare ben 83 dei servizi citati.

Nei fatti, afferma Foad Aodi, presidente dell’Amsi: “È aumentato del 30% l’arrivo dei professionisti della salute di origine straniera per lavorare in Italia sia tramite la modalità di riconoscimento dei titoli ordinaria o straordinaria.”.

Tuttavia, denuncia il dottor Foad Aodi, nonostante la necessità di ricorrere a questi aiuti dall’estero, “sono aumentati i pregiudizi nei confronti dei professionisti della sanità di origine straniera per colpa di dichiarazioni da parte di rappresentati istituzionali fatte in modo generico, superficiale, senza distinguere tra le modalità d’ingresso nel mondo del lavoro in Italia (ordinaria e straordinaria), mettendo a rischio l’integrazione di chi esercita da tanti anni.”

La polemica è chiara: “Invitiamo chi combatte l’ingresso dei professionisti della sanità di origine straniera nel sistema sanitario nazionale con pregiudizi, di elencare proposte: dove stavano negli ultimi 15 anni? Che cosa hanno fatto?”, ha concluso il professor Foad Aodi.

Sicuramente c’è bisogno di pianificazione e di una nuova programmazione. “Bisogna creare le condizioni sia lavorative che di ricerca universitaria combattendo la sottopaga, lo sfruttamento lavorativo e la burocrazia nell’ambito dell’esercizio della professione medica per frenare questa grave emorragia che sta dissanguando il nostro SSN, indebolendo tutte le sue forze e che non può garantire tutte le prestazioni ai pazienti nelle varie Regioni.”.

Fabrizio Carta

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