L’Auditorium del centro giovanile strapieno, nonostante la materia non certo accessibile ad un pubblico ‘medio’. Ma l’economia è passata attraverso il messaggio reso popolare da un oratore che con la comunicazione ha dimostrato di saperci fare davvero.

 “Di quale crisi parliamo? Secondo la medicina ippocrata la crisi disegna un momento della malattia nella sua evoluzione. Qui parliamo di una solida e stabile crisi sociale ed antropologica dell’homo economicus odierno” – così Serge Latouche saluta provocatoriamente il foltissimo pubblico intervenuto sabato  alla stimolante tavola rotonda dal tema “La decrescita come soluzione alla crisi”, nel teatro del centro giovanile promosso dalla Rete Gas vicentina con il Comune di Santorso, nell’ambito della rassegna “Il Comune per i beni comuni”. Numerosi tra i presenti anche gli amministratori e i rappresentanti locali.

 

“Parliamo di declino inesorabile dell’Europa perché dal 1970 in poi la società vive una crescita fittizia, speculativa ed immobiliare. Come gli alberi non crescono infinitamente verso il cielo, così la ricchezza fittizia” – prosegue Latouche, intellettuale laconico ed essenziale nel suo cadenzato italiano temperato dall’accento francese, catturando sempre più l’attenzione di un pubblico variegatissimo. Economista eterodosso, promotore della Revue du MAUSS, presidente dell’associazione “La ligne d’horizon”, è professore emerito di Scienze economiche all’Università di Parigi XI e all’Institut d’études du devoloppement économique et social (IEDES) di Parigi, Latouche propone una economia sostanziale capace di soddisfare i bisogni degli individui e di reincorporare l’economia dentro il sociale.

“Dobbiamo immaginare una prosperità senza crescita” – dice Latouche –  L’economia capitalistica di crescita si basa sulla logica della produzione del profitto per il profitto, inconciliabile con la finitudine delle risorse del pianeta. La grande sfida è l’uscita dal modello dell’economia sviluppista che dimentica l’uomo e la sua natura creatrice. La sua è una critica al circolo vizioso negativo delle austerità procurato dai debiti sovrani ed imposto da oligarchie finanziarie, e sottolinea quanto l’uomo moderno, l’animal laborans,assurga il lavoro al grado massimo dell’attività umana. La nostra è una società che mette il lavoro al primo posto quale mezzo necessario a garantire la vita e la sopravvivenza di sé e della propria famiglia. In una dimensione di assenza del lavoro, di disoccupazione ed austerità diffusa si realizza la logica scellerata del profitto, cioè meno lavoro equivale a più guadagno per pochi ed un aumento degli appetiti e dei desideri per molti.

Si deve ripensare alla vita umana e al senso del lavoro. “Si ritorni alla vera politica che tuteli e decida per la vita” – esorta Latouche fra gli applausi. Urge l’uscita dalla dipendenza da un capitalismo ossimoro che con il cosiddetto “sviluppo sostenibile”, espressione contraddittoria che a prima vista suona bene, vuole riprodurre un mondo diseguale e pieno di sprechi. I numerosi testi di Latouche espongono la strategia di decrescita, incentrata sulla sobrietà, sul senso del limite, sulle “8 R” (riciclare, riutilizzare, ecc.) per ritrovare il vivere felice con il cibo sano, la salute, la cultura, l’equità sociale.

L’uscita dalla crisi non sarà senza lacrime e fatiche ma sicuramente decrescere o meglio traslocare la produzione dal piano globale a quello locale riporterà la speranza per una società di abbondanza frugale, dove si produrrà meno, meglio e senza sprechi. Sarà una società democratica ed autosufficiente. Non si preconizza una realtà autarchica, tecnofobica e retrograda, al contrario. Si progetta di produrre per consumare e non per esportare e questo aumenta l’occupazione e l’attivazione delle risorse delle comunità locali. La riconversione delle attività produttive locali quali beni comuni è espressione della resilienza della comunità, cioè della sua capacità positiva di resistere e superare lo choc della crisi. 

Vanno in questa direzione le esperienze e le iniziative di Santorso in Transizione, nate da un incontro tra giovani che cercano di percorrere la via verso il bene comune: una nuova idea che porta verso una migliore qualità della vita, alla riscoperta dei valori perduti di una comunità.

Il motto della transizione è: “pensare globalmente, agire localmente”. Il movimento della transizione, estesosi a livello internazionale, vuole esaltare la persona e le sue capacità di creare una comunità sobria, cooperativa, solidale, più forte e consistente di prima. “Le idee sono chiare, bisogna ora credere nella possibilità di un cambiamento concreto” chiarisce Alessio Ferronato di Rete Gas vicentina. Questi infatti i primi certi passi già realizzati: l’inserimento di Santorso nella mappa dei paesi che stanno riflettendo sulla transizione, la nascita di un GAS (Gruppo di Acquisto Solidale) aperto a chi crede che si può cambiare, la collaborazione con l’amministrazione comunale per svolgere percorsi condivisi, la creazione di un sito internet http://www.santorsointransizione.it aggiornato e di un blog. Il prossimo appuntamento aperto al pubblico di Santorso in transizione sarà sabato 16 febbraio alle ore 20.30 presso l’Istituto Comprensivo “G. B. Cipani” di Santorso.

“Tutti gli ingredienti dell’esperienza di transizione sono partecipati anche dalla seconda edizione dell’iniziativa “Il Comune per i beni comuni”, che, con questi incontri pubblici voluti dall’amministrazione comunale, intende costruire “la pratica dei beni comuni” a partire dai bisogni ed aspirazioni dei cittadini” – ribadisce l’assessore alla Partecipazione Paolo Manza del Comune di Santorso. Giovedì 21 febbraio alle ore 20.30 nell’aula magna dell’Istituto Cipani, via Grumo, si sarà un’ulteriore occasione per pensare e progettare al territorio santorsiano e dell’altovicentino come una green community.

Alcuni economisti della felicità della decrescita hanno dimostrato che non c’è correlazione tra il Prodotto Interno Lordo e la Felicità. Al contrario la New Economy Foundation ha stabilito un indice da cui sembra che i paesi con la migliore qualità di vita e sentimento diffuso di felicità siano i più poveri. Non si tratta ovviamente di proporre un impossibile ritorno al passato ma di avere un piano B alla crisi per il futuro dei nostri figli. Decrescita è non ripiegarsi ma dare. “Non dobbiamo aspettare – si sente gridare dallo stipato fondo salaci siamo qui noi”.

Adelina Tadiello

Ti è piaciuto questo articolo? Condividilo su:
Stampa questa notizia