Una necropoli romana del III secolo d. C: a questo fanno pensare le analisi e gli studi effettuati sui ritrovamenti che sono stati fatti quest’estate nella campagna di Schio durante gli scavi per i lavori del nuovo tratto di via Maestri del Lavoro.

I risultati sono stati presentati questa mattina, nel municipio di Schio da Maria Cristina Vallicelli, funzionario archeologo di zona della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto, assieme al vicesindaco scledense Giorgio Pizzolato. All’incontro hanno presenziato anche l’assessore del Comune di Santorso Alessandra Bonotto, la responsabile di “MuseiAltoVicentino” Ivana De Toni e alcuni rappresentanti del Gruppo Archeologico. Unanimemente è stata evidenziata la volontà di valorizzare siti e reperti, compatibilmente con le risorse che si troveranno. Indicata nel Museo Archeologico dell’Alto Vicentino di Santorso la sede più adatta per una eventuale futura esposizione.

“Sul tema dell’archeologia in questi anni Schio, grazie anche alla collaborazione del Comune di Santorso, è stata protagonista di diverse esperienze: dai ritrovamenti sul Summano a questi ultimi, passando per gli scavi sul Civillina – ha sottolineato Giorgio Pizzolato – Crediamo sia interesse di tutti i cittadini poter conoscere questi elementi che sono segni della storia del nostro territorio”. “Già alla luce di questi primi dati – ha spiegato Maria Cristina Vallicelli – risultano evidenti il rilievo e l’importanza dei due contesti, che vengono a confermare l’interesse archeologico di questo comprensorio. Prossimo obiettivo sarà quello di reperire le risorse necessarie all’avvio delle successive fasi di restauro e studio dei contesti, che si auspica di poter destinare quanto prima ad una pubblica fruizione e valorizzazione”.

 La relazione della Soprintendenza

Il territorio di Schio, inserito nell’alta pianura vicentina dominata dal Monte Summano e all’imbocco della Val d’Astico, rappresenta un’area geografica privilegiata, precocemente interessata da frequentazioni antropiche stabili, risalenti già al XIV secolo a.C.
Si tratta dunque di un territorio a diffuso rischio archeologico, come testimoniato dai numerosi rinvenimenti archeologici già noti, diffusi in tutto il comprensorio comunale, ai quali possiamo oggi aggiungere le fortunate scoperte avvenute questa estate in occasione dei lavori per la realizzazione della nuova tangenziale sud di Schio, quando l’assistenza archeologica eseguita dalla ditta Dedalo s.n.c. di Padova sotto la direzione scientifica della dott.ssa Maria Cristina Vallicelli, Funzionario archeologo di zona, ha consentito di individuare in un’ampia fascia di terreno fino ad oggi rimasta a destinazione esclusivamente agricola due contesti di interesse archeologico, dando avvio ad accurate indagini stragrafiche concluse nel mese di luglio.
Il primo rinvenimento, lungo via Alleghe, consiste in una necropoli romana che ha restituito un nucleo di 31 tombe ad incinerazione, databili approssimativamente al III sec. d.C.
Le sepolture sono emerse ad appena una trentina di cm dall’attuale piano campagna; la ridotta profondità le ha esposte, forse già in epoca antica, ad azioni di spoglio per il recupero degli oggetti di corredo, come si è potuto riscontrare in ben 14 casi in cui le fosse di deposizione sono risultate vuote. Per lo stesso motivo, inoltre, le tombe risultano troncate nella parte sommitale dalle attività agrarie che hanno intaccato tutta la superficie antica, né rimangono tracce degli elementi strutturali che dovevano segnalare le sepolture. Le tombe presentano tratti tipologici ricorrenti, nella struttura, nella ritualità e nella composizione dei corredi, creando un complesso funerario omogeneo, che possiamo supporre pertinente ad una o al massimo due generazioni di un solo nucleo famigliare. Le tombe presentano generalmente dimensioni abbastanza considerevoli, raggiungendo anche 1,30 m di lato, e forma abbastanza regolare, per lo più quadrangolare, con pareti probabilmente contenute da assi lignee -se non da vere e proprie cassette. All’interno delle fosse erano deposti i materiali di corredo offerti al defunto e, sul fondo, un piccolo cumulo di terra di rogo recuperata dalla pira dopo il rituale della cremazione insieme ad alcune ossa combuste. Il corredo è composto generalmente da uno o al massimo due vasi in terracotta (olle e anforette). Frequente è anche la presenza di oggetti d’ornamento tra i quali il più ricorrente è sicuramente la fibula “a tenaglia” in bronzo, una spilla per chiudere e fissare le vesti ben diffusa nelle sepolture vicentine di III-IV secolo d.C.  Una particolare attenzione merita una coppie di tombe, che si potrebbero definire “gemelle”, tra loro ravvicinate e identiche nella composizione del ricco corredo. Entrambe infatti presentano, oltre ad un’olla fittile e a due monete in bronzo, una preziosa parure composta da una fibula a tenaglia, una coppia di orecchini in oro ed un anello in argento con castone, che ne connotano l’appartenenza ad individui femminili di condizione economica agiata. Per consentire la prosecuzione dei lavori, dopo la fase di scavo e di documentazione si è proceduto al recupero dei corredi funerari. Attualmente una ditta di restauro, la Ar.co. s.a.s. di Padova, sta inoltre procedendo al microscavo in laboratorio delle olle al fine di verificare la loro eventuale funzione di cinerari, vale a dire di vasi destinati a contenere le ossa cremate dei defunti. Il resto dei materiali è, invece, in attesa di restauro.
Questi in sintesi i dati preliminari emersi dalle indagini archeologiche, ma molti rimangono gli aspetti su cui far luce, riguardanti ad esempio l’età ed il sesso dei defunti o la lettura delle monete che consentirà una più precisa datazione dei contesti. Tutti interrogativi ancora aperti che potranno avere risposta solo quando e se il reperimento dei fondi necessari consentirà di procedere al restauro dei materiali ed allo studio antropologico dei resti ossei combusti.

Anche il secondo rinvenimento, avvenuto ad est di via due Camini, pur risultando anomalo e di difficile interpretazione, è riconducibile ad un contesto di carattere funerario. Si tratta di una fossa di forma sub-circolare con ossa prive di connessione anatomica che, ad un primo esame, sembrano appartenere a due o più individui di età neonatale. A poche decine di metri di distanza è emersa, inoltre, la sepoltura di un bovide, deposto in una fossa a pianta sub–rettangolare orientata nord–sud. Lo scheletro, evidentemente intaccato dalle attività di aratura, si presentava privo del cranio e di gran parte degli arti anteriori, come pure risultavano danneggiati gli arti posteriori. Sicuramente l’assenza di segni di macellazione sulle ossa e la giovane età del bovino fanno pensare ad una sepoltura rituale, ipotesi rafforzata dalla vicinanza alla tomba infantile plurima. Incerta appare anche la cronologia: unico elemento di riferimento è un frammento di ceramica che va probabilmente datato tra la tarda romanità e l’alto medioevo (IV-V sec. d.C.), cronologia a favore della quale depongono anche le caratteristiche osteometriche del bovide. Anche in questo caso, solo lo studio osteologico e l’analisi al carbonio 14 delle ossa del bovino potranno definire con maggior chiarezza la natura e la datazione del contesto, che potrebbe costituire la parte marginale di una necropoli solo parzialmente intercettata e messa in luce dallo scavo. Già alla luce di questi primi dati risultano evidenti il rilievo e l’importanza dei due contesti, che vengono a confermare l’interesse archeologico già ben noto di questo comprensorio territoriale e a gettare nuova luce sulla sua antica organizzazione insediativa. Prossimo obiettivo sarà quello di reperire le risorse necessarie all’avvio delle successive fasi di restauro e studio dei contesti, che si auspica di poter destinare quanto prima ad una pubblica fruizione e valorizzazione.

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