Una ricorrenza festeggiata con la sobrietà e lo stile che sono un po’ il marchio di fabbrica di una delle aziende più importanti dell’Alto Vicentino: 50 anni di Rivit, realtà nata nel 1960 con sede a Caltrano e consolidatasi negli anni fra i leader europei e non solo nella produzione di tubi e raccordi in acciaio inox e leghe speciali.

Nel 1960 quando Vinicio Bulla ebbe l’ardire di fondare la Rivit dove prima l’economia della zona si basava prettamente sul lavoro dei campi, l’obiettivo non era certo scalare le classifiche dell’imprenditoria mondiale, ma dare dignità e lavoro a persone magari con poca esperienza ma coscienti di cosa significava sacrificarsi e lavorare come se lo si stesse facendo per una cosa propria.

“Del resto” – dichiara il presidente e fondatore – “le macchine e le attrezzature puoi comprarle e ricomprarle più volte, ma il patrimonio di un’azienda sta nel suo personale: con i miei dipendenti c’è un rapporto che va oltre quello scritto nella carta”.

Una concezione portata avanti negli anni e trasmessa ai figli e ai responsabili che nel tempo si sono succeduti e che per volere della titolarità non si sono mai elevati ad un piano differente rispetto al ‘semplice’ operaio: semplice ma fondamentale come in un puzzle dove tutti i tasselli, piccoli o grandi che siano, sono preziosi e necessari al ciclo produttivo e al bene dell’azienda che conta oggi oltre 180 dipendenti.

Anche nel 2020 appena concluso, nel mezzo di un’emergenza sanitaria senza precedenti, Rivit ha tenuto saldo il timone nel mare in burrasca: “I numeri dicono che il fatturato è andato quasi meglio dell’anno precedente” – afferma Bulla – “ma questo per noi ha valore solo se contestualizzato assieme a tanti altri elementi: anzitutto non abbiamo avuto contagi in azienda, abbiamo potuto continuare a lavorare rientrando tra i codici ateco della filiera ritenuta essenziale e soprattutto abbiamo avuto grande diponibilità dalle nostre maestranze. La nostra gente – continua il fondatore – ha preso senza che nessuno lo chiedesse un po’ quel fare che i miei figli mi attribuiscono: finchè c’è tanto lavoro, i nostri operai rimangono qui anche se il periodo sarebbe quello tipico delle vacanze e decidono invece di andare in ferie quando magari c’è un periodo più calmo, anche se questo magari significa andare in vacanza  a gennaio o febbraio. Un attaccamento che mi impegna ad essere loro vicino e riconoscente”.

E dal punto di vista della riconoscenza non si può certo dire che Vinicio Bulla –  ottant’anni compiuti, ma il piglio e la lucidità testimoniano almeno per dimezzarne il conto – abbia mancato in qualcosa: solo pochi anni fa, il papà della Rivit spiazzò tutti dichiarando che non avrebbe voluto morire con troppo soldi in banca e soprattutto non avrebbe voluto mancare di dare un segnale importante, a conferma ulteriore di una lungimiranza fuori del comune. E così che da allora, utilizzando fondi propri, ha deciso l’erogazione fino a 3.000 euro per la nascita o l’adozione di un figlio e fino a 6.600 euro l’anno per ciascun bambino,  per l’iscrizione e la mensa negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia.

“Fare impresa non significa solo fare soldi, ma investire nel futuro e il futuro sono i nostri figli. Con quell’iniziativa volevo che i miei dipendenti capissero che il lavoro fa parte della vita di una persona, ma non deve essere un impedimento al crearsi una famiglia. E poi l’ho fatto perchè il mio paese, Caltrano, non si spopoli” – conclude Bulla con uno sguardo d’intesa rivolto al Sindaco Luca Sandonà.

Il paese: un legame a doppio filo quello con Caltrano dove l’azienda ha scelto di rimanere nonostante occasioni e logistica magari altrove più vantaggiose. Con la discrezione e il tatto che ha sempre contraddistinto la titolarità, Rivit ha sempre sostenuto il paese assecondando le richieste non solo dell’Amministrazione ma di tutto quel tessuto sociale che in un paese di 2500 anime avrebbe poche altre opportunità.

“Negli anni abbiamo assunto tante persone di Caltrano, gente che anche una volta andata in pensione continua a farci visita per portare un saluto a vecchi colleghi e direzione, ma soprattutto per vedere come procede” – commenta Bulla – “e personalmente sono convinto che l’attaccamento al territorio sia stato un dare e avere che ha arricchito entrambi primariamente sotto il profilo umano”.

E proprio più al paese che all’azienda è dedicato il volume che Rivit ha voluto per le sue nozze d’oro: un libro che ripercorre attraverso foto e ricordi la storia di un paese, quasi l’azienda in questo fosse solo il contorno. Un gesto d’amore, fatto ancora una volta con quella delicatezza che non cerca ostentazioni: un dono alla memoria di una Comunità che attraverso clienti e fornitori internazionali, farà il giro del mondo raccontando qualcosa di sè e di quella terra base e fondamento di un successo consolidato.

Il libro, curato da Renato Angonese e Maurizio Boschiero, coglie inoltre l’essenza di quel ‘fare industria’ che dal padre Vinicio ben è stato raccolto e sposato dai figli, oggi eredi di un patrimonio valoriale ancor prima che economico.

Uno sforzo letterario voluto anche dal Sindaco: “Non è stato facile convincere Vinicio, la luce dei riflettori proprio non gli piace. Era però un traguardo troppo significativo per non ricordarlo e così anche grazie ai figli, siamo partiti. Ovviamente ha dettato lui le condizioni della collaborazione – dichiara sorridendo Sandonà – e ha preteso di pagare per intero il conto. Ritengo che questo scritto come la presenza dell’azienda sia un regalo reciproco che ha dato frutti rigogliosi raccolti da ambo le parti. Ringrazio Vinicio, di cuore, per essere l’uomo prima che l’industriale affermato che tutti conoscono. Molti fanno grandi discorsi sul benessere degli operai e su come renderli protagonisti di una causa comune, ma lui ha saputo declinare gli intenti portandoli a concretezza”.

Neanche il tempo di finire la frase che Vinicio Bulla è già sull’uscio della saletta che ha ospitato la frugale presentazione. “Dovete scusarmi ma è quasi l’ora dell’uscita degli operai e devo fare un giro per sentire se va tutto bene”.

Neanche il giaccone, solo una sciarpa al collo e fuori a passo spedito. Una storia che continua, ogni giorno da cinquant’anni a questa parte. Con l’entusiasmo e la grinta del primo.

Marco Zorzi

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