di Federico Piazza
Alessandro Maculan, assessore alle politiche ambientali di Schio, spiega le ragioni del no dell’amministrazione Marigo al Masterplan di Ava – Alto Vicentino Ambiente che punta a investire 80 milioni di euro per incrementare del 40% la capacità dell’impianto di Ca’ Capretta. In sostanza, dice Maculan, il futuro della gestione dei rifiuti non è l’incenerimento e quindi l’idea di ampliare il termovalorizzatore di Schio è anacronistica. Occorre invece lavorare sul recupero dei materiali, come per esempio i metalli delle apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee) o la plastica, che sono attività molto interessanti dal punto di vista economico. Mercati che però rischiano di essere saturati da altri operatori, se si perde il treno dell’innovazione per la transizione all’economia circolare nei prossimi decenni.
Pertanto il piano industriale che Ava deve darsi comporta scelte molto strategiche. A maggior ragione in vista dell’aggregazione con l’omologa società Soraris di Sandrigo operante per diciotto comuni del circondario di Vicenza, che si situa nella prospettiva di medio termine di unificare in un solo soggetto i diversi gestori del ciclo integrato dei rifiuti del bacino vicentino.
Innanzitutto, cosa prevede la contestata delibera Ava del 30 agosto 2024 sul termovalorizzatore?
«L’assemblea dei 31 comuni soci dell’Alto Vicentino più l’Unione Montana “Spettabile Reggenza dei Sette Comuni” ha votato una linea di indirizzo per la definizione del nuovo piano industriale. La proposta del consiglio di amministrazione è di aumentare la capacità di incenerimento da 79mila a 119mila tonnellate all’anno attraverso il rifacimento e l’ampliamento congiunto delle attuali linee due e tre, che saranno sostituite da una nuova linea quattro. La delibera è stata approvata da una maggioranza di 27 o 28 comuni, pari al 66% delle quote di proprietà degli aventi diritto di voto, quindi oltre la soglia minima richiesta del 60%. Schio ha votato no, Torrebelvicino e Marano Vicentino si sono astenuti, e forse era assente un altro comune».
Qual è ora il percorso?
«Sono stati attivati vari tavoli di lavoro. Uno di questi, formato da dodici sindaci tra cui quello di Schio, si occuperà dell’analisi del Masterplan. Al secondo incontro un paio di settimane fa ha partecipato anche una rappresentanza di Leap, il consorzio incaricato da Ava di redarre il piano industriale, che ha fatto il punto sulle fasi dell’elaborazione progettuale. Il piano sarà sottoposto al vaglio finale dell’assemblea dei soci non prima di metà 2026».
Quindi non sono ancora stati affrontati i punti critici?
«Sinora nessuna novità. L’opzione dell’ampliamento non sembra essere comunque in discussione, Ava intende andare avanti. Quindi come Comune di Schio abbiamo nuovamente manifestato la nostra posizione».
Perché siete contrari?
«La nostra posizione è politica, non ideologica. Non siamo contrari all’incenerimento dei rifiuti in sé. Ma ci rifacciamo al piano regionale dei rifiuti, che non individua alcuna esigenza di potenziamento degli impianti. L’obiettivo fissato per il 2030 è arrivare a un tasso di raccolta differenziata regionale dell’84%, rispetto al 77,7% raggiunto nel 2023 (dati Arpav, rapporto Ispra 2024), e scendere a meno di 80 kg all’anno di volumi pro-capite di rifiuto urbano residuo (Rur), il cosiddetto “secco indifferenziato”. Se si centrasse questo risultato, il Rur regionale annuo fra cinque anni si ridurrebbe dalle oltre 600mila tonnellate di oggi a 500mila. A quel punto la capacità di trattamento complessiva da 380mila tonnellate dei tre impianti di incenerimento attivi in Veneto (Schio, Padova, Venezia-Fusine) lascerebbe fuori solo 100mila tonnellate, che sarebbero però in gran parte ceneri. Inoltre, il Rur continuerà a calare dopo il 2030. Quindi nel medio-lungo termine non ha senso investire nell’ampliamento del termovalorizzatore di Schio».
L’ultimo Rapporto Ispra dice che in Veneto nel 2023, a fronte dell’incenerimento di 252mila tonnellate di rifiuti urbani e di 16mila tonnellate di rifiuti speciali, i volumi finiti in discarica sono stati il doppio: 383mila tonnellate di rifiuti urbani e 151mila di rifiuti speciali. Non è sorprendente che sotterrare i rifiuti sia ancora una soluzione così praticata?
«Il Piano regionale prevede la minimizzazione delle discariche, la cui capacità andrà a esaurirsi. Il principio normativo Ue consentirà nel 2035 di conferire in discarica al massimo il 10% dei rifiuti. Ma ci si arriverebbe prima se le performance di raccolta differenziata e riciclaggio fossero più omogenee. Purtroppo la situazione del Veneto è a macchia di leopardo, con bacini più virtuosi come quello di Vicenza, e altri meno. A Schio, per esempio, siamo intorno ai 70 kg pro-capite all’anno di rifiuto urbano residuo e Marano Vicentino è sceso a 50 kg, quindi già ben sotto i target regionali. Ma nella zona di Verona ci sono comuni con volumi ancora tripli o quadrupli o quintupli, sopra i 200 kg pro-capite. La responsabilità non è dei cittadini, ma delle amministrazioni locali. Serve più coraggio e responsabilità condivisa. Quando vedremo altri bacini dei rifiuti convergere verso il massimo del recuperabile, allora potremo essere disposti a fare dei sacrifici. Ma non in questa fase, perché paradossalmente diventerebbe un ulteriore alibi a far di meno per le aree meno virtuose».
Cosa chiede il Comune di Schio ad Ava anche in vista dell’aggregazione con Soraris e dell’unificazione in prospettiva di tutti i gestori del ciclo integrato dei rifiuti del bacino di Vicenza in un solo soggetto?
«Nel Masterplan di Ava non c’è traccia di investimenti su quelli che saranno gli impianti di trattamento del futuro per i vari materiali. Tecnologie che in realtà sono già il presente. In Lombardia, dove pure hanno molti più termovalorizzatori che in Veneto, stanno per esempio investendo sul recupero delle materie plastiche e dei rifiuti elettrici ed elettronici, che creano valore aggiunto economico. Iren ha recentemente inaugurato in Toscana un impianto per recuperare metalli dalle schede elettroniche che prevede il ritorno in un anno e mezzo di un investimento da 10-15 milioni di euro, rispetto ai vent’anni dell’investimento sull’incenerimento proposto da Ava. Si rischia di lasciare questa opportunità ad altre utilities pubbliche e private. L’amministrazione di Schio sta quindi da tempo proponendo ad Ava di investire risorse per studiare nuove branche di mercato che si sono aperte, ma che rischiano di volatilizzarsi se non ci si muove. Occorre mettere un piede nelle nuove tecnologie per il recupero di materiali, cioè la nuova linfa che permetterà ad Ava di proseguire nei decenni. E invece la società intende investire, e indebitarsi, in un progetto che noi definiamo obsoleto. Arriverà infatti un giorno quando i volumi di rifiuto secco indifferenziato saranno molto ridotti».
Ne siete certi?
«La Lombardia sta già dimostrando questa dinamica. Ha termovalorizzatori con una capacità di 2,5 milioni di tonnellate a fronte di una produzione annuale regionale di 1,3 milioni di tonnellate di rifiuto secco. E quindi i gestori hanno bisogno di importare oltre 1 milione di tonnellate da altre regioni per alimentare infrastrutture sovradimensionate. Ci vorranno almeno dieci anni per realizzare la nuova linea quattro del termovalorizzatore di Ava, considerando i tempi di progettazione, autorizzazioni, cantiere e collaudi. Dopo di che, il funzionamento dell’impianto sarebbe inalterabile per quarant’anni, con l’esigenza di assicurare adeguati volumi di alimentazione di rifiuti. Su questo chiediamo una profonda riflessione, perché il dimensionamento del termovalorizzatore va deciso guardando in prospettiva ai prossimi decenni e non basandosi su dati storici».
