La missione 6 del Pnrr ed il DM77 hanno, nelle loro intenzioni, tracciato un binario che porti le regioni italiane a ridisegnare in maniera drastica la medicina territoriale. La medicina territoriale però non è un’entità avulsa alla medicina ospedaliera ed è quindi fondamentale riuscire a creare un modello nuovo che riesca a integrare la nuova medicina territoriale con quella già esistente e che riesca a creare una fattiva integrazione con gli ospedali. Di tutto questo se ne parla nella sessione “Confronto tra reti ospedaliere”, della Summer School  – Il Pnrr tra economia di guerra ed innovazione dirompente organizzata da Motore Sanità,  e con i mediapartner di Dentro la Salute, Eurocomunicazione, Mondosanità e Sì Salute e Innovazione.

Uno dei punti cardine della medicina territoriale dovrà essere un’offerta omogenea sul territorio, come spiegato da Luciano Flor, Direttore Generale Area Sanità e Sociale Regione del VenetoI modelli organizzativi possono essere diversi sul territorio ma l’offerta sanitaria no, l’offerta sanitaria deve essere omogenea sul territorio. Bisogna prevedere quindi coordinamenti regionali con i professionisti ma anche espressioni della governance come DG e DS. Dobbiamo – prosegue Flor – disciplinare lo sviluppo dell’attività tenendo conto delle esigenze non solo delle aspettative dei malati ma anche per le liste d’attesa. Questo modello così elaborato è in grado di mettere in insieme gli ospedali e il territorio per un servizio sanitario integrato regionale”.

L’omogeneità dell’offerta sanitaria dovrà essere costruita anche tra le diverse regioni italiane. “Serve una visione trasversale regionale – aggiunge Flor – e ma anche una visione verticali sulle professioni, professioni non solo mediche. Bisogna lavorare per avere un modello unico e condiviso. Dobbiamo condividere lo stato dell’arte dal punto di vista scientifico, condividere gli strumenti. Il sistema oggi ha la necessità di condividere le informazioni per avere un sistema omogeneo, la proposta da fare è di non rafforzare i modelli regionali – conclude Flor – ma di ragionare su un modello nazionale”.

La Regione Campania ha avviato il suo processo di creazione dei nuovi modelli organizzativi proprio sul dialogo tra tutte le realtà della sanità regionale, come spiegato da Pietro Buono, Dirigente UOD Attività consultoriale e materno infantile Regione Campania. “Abbiamo creato un tavolo di lavoro mettendo insieme la direzione strategica di tutte le realtà sanitarie per scrivere un documento di riorganizzazione delle aziende sanitarie locali. Una riorganizzazione fondamentale per ridurre l’accesso ai pronto soccorso quando gli hub dei centri comunità entreranno a mano a mano in funzione. Ridisegnare delle aziende – aggiunge Buono – è indispensabile anche per ridistribuire il personale che non è previsto nel PNRR”.

Anche il Friuli-Venezia-Giulia ha iniziato un processo per ridisegnare la realtà sanitaria regionale, come illustrato da Gianna Zamaro, Direzione centrale salute, politiche sociali e disabilità Regione Friuli Venezia Giulia. “È chiaro che già durante la pandemia abbiamo cercato di dare quanta più flessibilità alle strutture ospedaliere che si sono adeguate alla riconversione delle priorità e dei reparti, noi stiamo lavorando inoltre molto sul sistema a reti degli ospedali con un sistema hub&spoke. Stiamo introducendo tutti i percorsi di telemedicina in modo tale da far sì che i centri siano ancora più interconnessi e al servizio dei cittadini. Quello che per noi è il problema vero – sottolinea Zamaro – è lo sviluppare delle reti tra ospedale e territorio, stiamo lavorando per portare parte della medicina specialistica sul territorio”.

In Regione Piemonte l’Azienda Zero sarà protagonista del nuovo sistema integrato ospedale-territorio, come spiegato da Carlo Picco, Direttore Generale ASL Città di Torino, Commissario Azienda ZERO Piemonte “La programmazione per il PNRR non deve essere solo di lavori edilizi ma anche di organizzazione per creare un modello che possa trarre al meglio giovamento da questi nuovi fondi che dovranno essere sostenuti da un contesto di personale che per il momento non è previsto dalla finanziaria. Il lavoro per l’azienda 0 sarà un lavoro importante – sottolinea Picco – di linee guida e di monitoraggio con la possibilità di innestare processi di telemedicina che abbiano un contesto regionale e non più sperimentale. Tutto questo è un lavoro che è già iniziato in Piemonte e speriamo di dare un contributo decisivo al sovraffollamento dei pronti soccorso e la gestione del paziente cronico”.

Nel nuovo assetto della sanità territoriale ed ospedaliera l’oncologia dovrà avere, anche a causa della sempre maggiore cronicizzazione della patologia, uno spazio di rilievo, come sottolineato da Gianni Amunni, Direttore Generale ISPRO Regione Toscana “Oggi abbiamo 3,6 milioni casi prevalenti oncologici, il numero degli abitanti della Toscana. Questo numero enorme di persone ha necessità socio-assistenziali estremamente diverse tra di loro e complesse, inoltre il 30% di questi pazienti sono malati cronici. Tutti questi bisogni hanno un collo di bottiglia che è l’oncologia ospedaliera creando un dislivello tra domanda e offerta incredibile. Dobbiamo pensare – prosegue Amunni – che la nuova oncologia si deve organizzare per mettere in atto nuovi setting assistenziali che si aggiungono ai due setting ospedalieri esistenti. Dobbiamo anche pensare a delocalizzare alcune terapie oncologiche – conclude Amunni – quelle che è possibile fare fuori sede, incrociando caratteristiche del paziente e tipi di terapie necessarie è possibile estendere i Pdta anche fuori dall’ospedale”.

Le associazioni da sempre svolgono un ruolo fondamentale di supporto ai pazienti sul territorio, quindi è necessario che nel nuovo assetto del territorio le associazioni vengano inserite nel sistema di rete assistenziale, come spiegato da Stefano Boscariol, giornalista e rappresentante AIL Pordenone. “Il volontariato e l’associazionismo sono importantissimi per il territorio. Noi ci proponiamo di essere vicino ai malati e ai loro familiari senza contributi pubblici, raccogliamo fondi che destiniamo in maniera trasparente a diversi programmi tra cui: due psicologi, un infermiere di famiglia, due professionisti che aiutano nel caregiving, un educatore, una fisioterapista pediatrica, abbiamo anche quattro automezzi che utilizziamo per il trasporto dei pazienti. Senza volontariato il sistema sarebbe in grande difficoltà nel dare attenzione al paziente soprattutto per le situazioni socio-economiche più complesse”.

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