“In fila con i sintomi influenzali, seduti su poltrone non igienizzate, nessuna privacy, non si capisce chi ha la precedenza e le porte si aprono con maniglie che hanno toccato tutti. E mi è venuto il dubbio che ci mettano in questa condizione per spingerci a fare i tamponi in privato”.
E’ il racconto di Giulia Andrian, consigliere comunale del Pd di Schio, dopo due giorni trascorsi in attesa di un tampone per verificare la causa dei suoi sintomi influenzali.
Un racconto che apre uno squarcio su quanto succede a chi è costretto ad andare a fare l’analisi per constatare la positività al coronavirus, che rimane in attesa e, nel caso di positività, potrebbe anche mettere a rischio chi gli sta vicino.
La testimonianza di Giulia Andrian
“Chi mi conosce sa che non mi piace lamentarmi, ma penso che, anche nel mio ruolo di consigliere comunale, io debba denunciare i disagi che stanno vivendo i cittadini che in questo periodo devono farsi il tampone a Schio o a Santorso. Venerdì avevo sintomi influenzali e la mia dottoressa mi ha detto che avrei potuto fare il tampone o al De Lellis fino alle 13.00 o all’ospedale di Santorso fino alle 22.00. Ho aspettato di stare un po’ meglio e sono andata alle 20.00 a Santorso, c’era moltissima gente in fila, ma alle 21.00 ci hanno mandato a casa perché ci hanno detto di aver ricevuto queste disposizioni. Davanti a me c’erano ancora 40 persone che presumibilmente aspettavano dalle 19.00. Solo una persona ha protestato: era un papà con il suo bambino. Se ne è dovuto andare anche lui, dopo un’attesa di più di due ore. Tutti ce ne siamo andati borbottando, ma non troppo, perché noi veneti siamo così: lamentarsi, soprattutto in un periodo così, ci sembra disdicevole. Forse sarebbe bastato mettere dei numeri progressivi come nei negozi. Ne metti quanti sei in grado di processare così quando sono finiti i numeri significa che non puoi trattare altre persone ed eviti che una persona debba aspettare ore per poi sentirsi dire che deve andarsene.
Oggi sono ancora qui. Sono arrivata alle 7.30. C’è già una fila lunghissima e dietro di me c’è un signore che mi dice di aver provato ben due sere, oggi ci prova di mattina. È la terza volta che prova a fare il tampone. Dietro ancora c’è una signora anziana in carrozzina, con la flebo. Non c’è nessuna corsia preferenziale. Ad un certo punto esce l’infermiera che grida: “Hanno la precedenza i …..” In fondo alla fila nessuno capisce chi ha la precedenza. Sarebbe bastato mettere un cartello ad inizio fila. Dopo un po’ scopro che sono i preoperatori ad avere la precedenza. Non lo sanno, per cui si fanno la fila come gli altri.
In fila io ho spesso la tosse e starnutisco con molta preoccupazione di chi mi sta vicino, ma non ho alternative all’essere lì. Dopo un po’ si scopre che anche i bambini hanno la precedenza, ma non lo sanno e i nuovi arrivati si mettono in fila. Penso sempre che sarebbe bastato un cartello. Penso che se ci avessero scaglionato in fasce orarie non avrebbero costretto le persone, tra cui anziani e malati, a una fila di due ore. C’era un signore che non si reggeva più in piedi. Prima che sia il mio turno un’infermiera dice all’altra: “Allora hanno la precedenza preoperatori, pediatrici e donne incinta.” Poi esce e lo dice a voce alta. Lo sentono sempre quelli che sono all’inizio della fila. In quel momento c’è un passa parola concitato e si alza il volume, ma torna subito il silenzio. Se arrivasse ora una donna incinta in fondo alla fila non saprebbe di avere la precedenza. È il mio turno. Mi siedo su una poltrona che non hanno materialmente il tempo di igienizzare e penso che a scuola i bambini sanno che non possono sedersi dove si sono seduti gli altri. Per uscire c’è una porta che non posso spingere, ma solo tirare per cui devo toccare per forza la maniglia che hanno toccato tutti. Poi devo aspettare l’esito del tampone veloce. Lo aspetto in piedi in una fila parallela a quella che ho fatto prima. Non c’è nessuno rispetto per la privacy. L’infermiere chiama a voce alta il cognome e ti invita ad andare a casa se l’esito del test rapido è negativo, se è positivo ti invita a restare per un altro tampone. Così tutti i presenti conoscono l’esito del tuo tampone. Al termine della mia esperienza considero che per quasi tre ore sono stata con tante persone a contatto, in un luogo coperto. Un comportamento che il buon senso ci direbbe di evitare in questo periodo. La prossima volta penso che andrò a farmi il tampone privatamente. Forse è questo l’obiettivo di chi non ha organizzato i flussi rendendo difficile il lavoro degli operatori e potenzialmente pericoloso venire a farsi il tampone per noi utenti”.
di Redazione Altovicentinonline
(foto di Giulia Andrian e Sabrina Dal Zotto)