di Federico Piazza

«Con massimo cinque milioni di euro di investimenti in cinque anni, si potrebbe realizzare una cinquantina di aree forestali di infiltrazione (Afi) da un ettaro ciascuna, attraverso cui ricaricare artificialmente la falda freatica vicentina di almeno 20-30 milioni di metri cubi d’acqua l’anno. Una stima che comprende anche il calcolo dei compensi da riconoscere agli agricoltori per il cambio di destinazione d’uso dei loro terreni». Lo afferma Paolo Gurisatti, economista e direttore di Ipa – Intesa Programmatica d’Area Alto Vicentino, a cui aderiscono 32 Comuni, tre Unioni Montane e otto rappresentanze di categoria del mondo economico. Gurisatti rimarca come, nel contesto di un necessario piano regionale coordinato per la gestione efficiente della risorsa acqua, quello per le Afi sarebbe un investimento irrisorio rispetto ai benefici apportati alla falda acquifera che alimenta l’approvvigionamento idrico delle città di Vicenza e Padova e di altre decine di comuni delle due provincie. Una falda da dove nasce il Bacchiglione, il secondo fiume di risorgiva d’Europa. Ma che, come noto, da decenni è interessata da un progressivo fenomeno di riduzione del livello medio, a causa della combinazione tra mutate condizioni climatiche che stanno modificando frequenza e volumi delle precipitazioni piovose e nevose sul territorio e l’aumento in corso da decenni del coefficiente di deflusso a mare dell’acqua meteorica su un territorio sempre più cementificato.
L’opera infrastrutturale idrica di cui si parla più spesso nel bacino idrografico Leogra-Timonchio-Astico è ovviamente il dibattutissimo progetto del grande invaso di Meda. Che però sembra ancora essere molto al di là dal venire. Mentre, più in piccolo, sul fronte dell’efficientamento delle reti idriche di distribuzione sono già in programma gli interventi che Viacqua farà con 12 milioni di fondi Pnrr per la riduzione delle perdite dell’acquedotto della Valle d’Astico, con l’obiettivo di recuperare entro il 2025 oltre due milioni di metri cubi d’acqua. Così come, per aiutare invece a ricostituire l’originale livello della falda, è in avvio il potenziamento, da parte del Consorzio di Bonifica Pianura Alto Veneta con AcegasApsAmga e Viacqua, dei cosiddetti “pozzi bevitori” per la ricarica artificiale nei comuni di Breganze, Montecchio Precalcino, Sarcedo e Castelgomberto.
In quest’ultimo ambito si dovrebbe collocare l’ulteriore tassello delle Afi, le aree forestali di infiltrazione, caldeggiate dalla Fondazione Palazzo Festari Ipa Alto Vicentino. Secondo l’analisi del tecnico Lorenzo Altissimo, già direttore del Centro Idrico di Novoledo, un’Afi da un ettaro su suolo idoneo è in grado di infiltrare fino a un milione di metri cubi d’acqua l’anno. Alcuni esempi pilota tra Thiene, Breganze e Schiavon già ci sono. Realizzandone una cinquantina in terreni agricoli riconvertiti ad aree boschive ad arboreto ceduo e in cave di estrazione esaurite situate a monte della fascia delle risorgive della media pianura vicentina, si arriverebbe teoricamente a una cinquantina di milioni di metri cubi l’anno. Pari cioè alla metà del fabbisogno di acqua potabile di Padova e Vicenza. E 50 Afi nei bacini idrografici del Leogra-Timonchio-Asico e del Brenta a monte della fascia delle risorgive appare una cifra realistica, in base alla prima mappatura dei territori più adatti all’infiltrazione superficiale e profonda effettuata dallo studio. «Infiltrare 50 milioni metri cubi d’acqua l’anno sarebbe la situazione ideale con le Afi tutte realizzate e funzionanti a pieno regime. Sicuramente si può arrivare ad almeno 20-30 milioni, che già sarebbe molto», osserva Gurisatti. «Anche perché abbiamo registrato la piena disponibilità al coinvolgimento da parte delle associazioni locali di agricoltori e cavatori».
Le aree di infiltrazione andrebbero alimentate nel periodo non irriguo, attraverso la rete territoriale delle rogge, con acqua piovana raccolta da soggetti privati e pubblici. Come per esempio nelle zone industriali-artigianali-commerciali, incentivando anche a livello privato il recupero delle acque meteoriche, come è stato fatto con il progetto Life Beware nei comuni di Santorso e Marano Vicentino. Ma anche con investimenti da parte del gestore del servizio idrico, che dovrebbe infatti realizzare degli impianti per la disconnessione delle acque meteoriche dalle fognature miste nelle ampie aree urbanizzate dell’Alta Pianura, dove parecchia acqua si può raccogliere e convogliare verso le Afi attraverso le rogge.
Lo studio di Altissimo si focalizza sull’esempio della zona industriale di Schio-Santorso-Zané, dove tenendo conto di una media annuale di circa 15 eventi piovosi l’anno da 80 mm l’uno (Schio Catin de Dio…), «recuperando solo l’acqua che cade sulle coperture di edifici industriali o commerciali (1,6 milioni di metri quadri), al netto della quota che evapo-traspira (massimo 40%), con la separazione delle reti fognarie almeno il 60%, cioè 1,4 milioni di metri cubi l’anno, potrebbe essere trasferito in sito idoneo e immesso nel sottosuolo utilizzando sistemi di infiltrazione già sperimentati con successo in altri contesti (pozzi bevitori, trincee o piccoli bacini disperdenti)».
Quali sono stati sinora i riscontri della politica e del territorio a questa idea?
Lo studio è stato presentato alcune settimane fa alla Terza commissione permanente del Consiglio Regionale Veneto, che sta elaborando la legge quadro sulla Blue Economy. «La commissione ha apprezzato il nostro contributo. Quello che adesso è necessario fare – conclude Gurisatti – è stringere un patto tra le “terre alte”, che hanno il compito di provvedere alla raccolta, conservazione e infiltrazione delle precipitazioni, a monte delle zone di ricarica delle falde, rendendo quest’ultima più efficace, e le “terre basse”, che hanno il compito di ridurre gli sprechi e migliorare le tecnologie per il recupero dell’acqua. Un patto che dovrebbe essere catalizzatore di partecipazione e di cittadinanza attiva in grado di contribuire alla strategia regionale per lo sviluppo sostenibile del Veneto».

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