Non ci sono più strumenti concreti ed efficaci per sequestrare i ben dei pochi ‘eletti’ che gestivano la Banca Popolare di Vicenza.

Lo ha confermato Antonio Cappelleri, procuratore della Repubblica di Vicenza, in audizione davanti alla commissione d’inchiesta sulle banche e per quanto riguarda la gestione della banca, ha commentato “erano in pochi a gestirla effettivamente”.

Il fatto che la gestione non venisse consapevolmente condivisa dall’intero CdA o dall’intero consiglio sindacale rappresenta proprio il motivo per cui meno di 10 persone sono state indagate dalla Procura. Secondo le indagini “la banca aveva interesse a sopravvalutare il proprio patrimonio e deciso una rivalutazione delle quote che costituivano il patrimonio. Una rivalutazione ingiustificata e l’ipotesi di aggiotaggio con l’esposizione di elementi fraudolenti consiste nell’aver indotto con l’inganno i risparmiatori all’acquisto”.

Secondo il procuratore, “In vari momenti e con vari espedienti gli organi bancari, nel momento in cui sono stati sottoposti a visite ispettive della Banca d’Italia e la Consob hanno nascosto e non esposto una serie di operazioni. Gli ispettori di vigilanza, che non hanno ovviamente poteri di autorità giudiziaria, non possono acquisire d’imperio documenti e devono chiedere di esibire proprie documentazioni e su quelle effettuano il riscontro”.

Inoltre, non ci sarebbe inoltre più nessuna possibilità di sequestrare i beni di Gianni Zoni, ex presidente della banca. Cappelleri ha infatti commentato che “un sequestro di beni nei confronti dell’ex presidente della Banca Popolare di Vicenza, Gianni Zonin, sarebbe ormai vano poiché la banca è stata svuotata di qualunque sostanza effettiva,  non ha più strumenti concreti ed efficaci per effettuare i sequestri. Gli attivi di buona qualità sono stati trasferiti alla good bank e ormai temo che uno strumento concreto ed efficace non lo abbiamo più in mano”.

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