Scuole chiuse perché non si è saputo adeguare i trasporti in base alle esigenze degli studenti. Scuole aperte per i più piccoli solo per lasciare andare a lavorare i genitori e metterli nella condizione di produrre. Come se la scuola fosse una stanza dove parcheggiare i ragazzi e non il luogo deputato alla formazione dei giovani, il posto in cui si forma il futuro del Paese.
Dalla lettera dei docenti dell’Itis De Pretto, condivisa in toto dall’assessore all’Istruzione scledense Katia De Munari, emerge che la scuola italiana sembra poggiare su valori nettamente opposti a quelli sui quali dovrebbe in realtà fondarsi.
“In un paese civile il trasporto scolastico si adegua alle esigenze della scuola e non viceversa”, sottolineano i docenti ed è impossibile dare loro torto.
Quello che hanno espresso gli insegnanti e l’assessore all’Istruzione è la delusione nel vedere vanificato il lavoro di un’estate intera, impiegata per rendere sicure le scuole vista la previsione, ampiamente annunciata, di riaprire a settembre in presenza.
“Condivido in toto il pensiero espresso dai docenti dell’Itis De Pretto – ha sottolineato Katia De Munari – Ho seguito e supportato i dirigenti scolastici dal lockdown alla ripartenza di settembre e se c’era un luogo davvero sicuro per i nostri figli erano proprio le scuole. Questa è un’amara sconfitta che brucia come il fuoco”.
La lettera dei docenti dell’Itis De Pretto
Abbiamo lavorato con impegno perché a settembre la nostra scuola potesse riaprire in sicurezza. Si potrebbe fare un lungo e pedante elenco di quanto realizzato, dal calcolo della capienza di ogni locale, alla messa a punto di un complicato orario diversificato biennio / triennio, giorni dispari / giorni pari, alla misurazione quotidiana della temperatura di ogni studente all’ingresso effettuata da personale docente ed ATA, e tanto altro ancora. Un’occhiata al piano di ripartenza pubblicato nel sito web del nostro istituto può offrire un panorama esaustivo del nostro lavoro. Abbiamo fatto solo e semplicemente il nostro dovere, non meritiamo plauso alcuno, ma sentiamo di doverlo scrivere a futura memoria in un momento in cui l’assunzione di responsabilità sembra essere assai poco praticata.
Per tutta l’estate si è ripetuto coralmente che la scuola sarebbe ripartita in presenza. A tutti i costi. Pensavamo che il motivo di questa risoluta dichiarazione d’intenti risiedesse nell’evidenza che la scuola è davvero, senza retorica, il luogo in cui il futuro di una comunità si costruisce. Non per nulla la maggior parte dei Paesi d’Europa, nonostante l’adozione di misure di contenimento della pandemia più severe delle nostre, non ne ha preso in considerazione la chiusura, ritenendo l’istruzione un bene primario ed irrinunciabile.
Alla luce di queste considerazioni appare davvero sconcertante la decisione di imporre la didattica a distanza negli istituti superiori, peraltro mantenendo la frequenza in presenza per gli ordini inferiori di scuola allo scopo di consentire ai genitori degli alunni più giovani – che non possono essere lasciati a casa da soli – di recarsi al lavoro. La scelta di tutelare unicamente la funzione di custodia dei più piccoli denuncia un’assurda visione della scuola come appendice del sistema produttivo, come se l’intero tessuto sociale ed economico di un paese non dipendesse, invece, da quanto il sistema educativo sia messo in grado di produrre.
Chi ha sperimentato la didattica a distanza sa che nel nostro attuale sistema scolastico essa non garantisce la formazione, che l’apprendimento non decolla per molteplici ragioni, che resta davvero poco delle lezioni online e che mesi davanti ad uno schermo si traducono in povertà culturale, colpendo in maniera più grave le studentesse e gli studenti con una situazione di fragilità e di svantaggio sociale. L’esperienza della scorsa primavera, inoltre, ci ha mostrato che la valutazione in DAD non è attendibile, non restituisce un quadro veritiero delle conoscenze e delle competenze, mortifica gli studenti seri e premia i lavativi, umiliando altresì i docenti, costretti ad oscillare tra sospetto e indulgenza. Se la scuola è un bene di prima necessità, non può essere disponibile a momenti o parzialmente, se è un diritto non ha surrogati o frazioni neppure in momenti di emergenza, a meno che i dati non suggeriscano che costituisca un pericolo per gli studenti stessi. Difficile crederlo, dal momento che i ragazzi, dopo una mattinata trascorsa a seguire lezioni in DAD, sono liberi di incontrarsi, se lo vogliono, al bar.
Se, dunque, la scuola è patrimonio della comunità, tutta la comunità dovrebbe contribuire al suo sostegno. Consentiteci dunque, in quest’autunno dai caldi colori che abbiamo trascorso togliendo per altri castagne dal fuoco, di ipotizzare che se ognuno avesse fatto la propria parte non saremmo giunti a questa triste situazione. Chi si assume la responsabilità del fatto che nemmeno di fronte al rischio di esporre lavoratori e studenti al contagio si sia riusciti finalmente ad approntare un piano dei trasporti degno di tale nome? Pare assurdo dover sottolineare che in un paese civile il trasporto scolastico si adegua alle esigenze della scuola e non viceversa. Chi si assume la responsabilità del fatto che in caso di positività di uno studente al Covid, i compagni di classe siano stati posti in DAD solo per scrupolo dei Dirigenti, senza che l’autorità sanitaria lo imponesse? E che dire dei docenti che, dopo essere entrati in quella stessa classe, hanno dovuto continuare il loro lavoro a scuola, entrando in altre classi ed esponendo studenti e colleghi al rischio di contagio, senza che il Dirigente potesse impedirlo in assenza di una imposizione dell’autorità sanitaria? E per responsabilità di chi siamo passati dal progetto di avere un sanitario sempre a disposizione in ogni scuola all’ottenere l’esecuzione dei tamponi “rapidi” oltre dieci giorni dopo la notizia del contatto con il positivo? E chi si assume la responsabilità delle indicazioni sulle mascherine, obbligatorie a scuola, non necessarie appena fuori della porta per i mesi di settembre ed ottobre, come se esse dovessero derivare non da evidenze scientifiche ma dalla volontà di non urtare la suscettibilità di qualche genitore poco incline all’uso della stessa?
Un Paese distratto sui giovani è senza futuro e noi, che continuiamo a promettere a studentesse e studenti che il loro impegno ha senso, non possiamo rassegnarci al silenzio.
I docenti dell’ITIS De Pretto
di Redazione Altovicentinonline