È sconcerto e rabbia tra le realtà associative e civiche dell’Alto Vicentino per la condanna inflitta a due attivisti del gruppo “Altovicentino per la Palestina” e del “Collettivo Rotte Balcaniche”. I due giovani sono stati giudicati colpevoli di “deturpamento e imbrattamento” per una performance simbolica tenutasi in piazza a Schio il 2 marzo scorso, durante una manifestazione pacifica di solidarietà al popolo palestinese.
La condanna, sei mesi di reclusione per ciascuno — ridotti a tre e convertiti in una multa complessiva di 4.500 euro — ha suscitato una dura reazione da parte di Cgil Schio, ANPI Valleogra, ANED, Donne in Nero, Coalizione Civica Schio e Rifondazione Comunista, che in un comunicato congiunto parlano di una “follia giudiziaria” e di un “Paese che punisce chi condanna un genocidio e tace su chi lo finanzia”.
I fatti risalgono al 2 marzo 2024, quando centinaia di persone si sono radunate in piazza a Schio per protestare contro le operazioni militari israeliane nella Striscia di Gaza, definite nel comunicato “un genocidio sotto gli occhi del mondo”. Gli attivisti, spiegano le associazioni, hanno inscenato una performance “pacifica, innocua ma eloquente”, utilizzando tempera lavabile per denunciare le responsabilità economiche e politiche italiane nel massacro in corso.
Per ANPI Valleogra e le altre realtà firmatarie del comunicato, la sentenza rappresenta un “capovolgimento dei valori”: mentre l’Italia tace sulle migliaia di vittime palestinesi — tra cui 19.000 bambini — e sugli accordi militari e commerciali con Israele, chi manifesta contro queste responsabilità viene punito con il carcere e una multa salata.
“Un Paese che non si indigna contro chi perpetua un genocidio, ma contro chi lo condanna è un Paese in cui non ci riconosciamo”, scrivono con forza i firmatari, denunciando il silenzio “complice” del governo italiano e della comunità internazionale.
Nel mirino della protesta non solo il sistema giudiziario, ma anche il contesto politico ed economico che — secondo le associazioni — trarrebbe profitto dal conflitto, mentre a pagare il prezzo più alto sono i civili palestinesi.
“La parte migliore della nostra comunità — prosegue il comunicato — è quella che ancora oggi ha il coraggio di uscire dall’indifferenza, di indignarsi e di lottare. E invece, proprio questi giovani vengono perseguiti come criminali.”
Le associazioni concludono esprimendo “solidarietà a chi ha commesso l’infamante crimine di condannare un genocidio” e chiedendo che si apra una riflessione seria su cosa significhi oggi libertà di espressione e giustizia in Italia.
