Arriva da Schio e sta facendo il giro del web la storia di Ndeye Faye, nata a Schio 22 anni fa da una famiglia senegalese, cresciuta da due nonni veneti, che vuole fare la detective. Considerata una ‘Nera africana’ in Italia, ma ‘Bianca e italiana’ in Africa, quando la senti parlare ti esplode un sorriso e scatta la solidarietà. Nera di pelle come la notte, solare e positiva come tutti i giovani che sanno di avere la vita davanti e ce la mettono tutta per raggiungere i propri obiettivi.

La sua è una bellissima storia di integrazione. Di quell’integrazione che non cade dal cielo, ma che è frutto di un cammino di consapevolezza personale e sociale, che non prevede un’improbabile uguaglianza a priori ma rispetto e condivisione per le differenze che caratterizzano le culture e quindi gli esseri umani.

“Sono nata a Schio da genitori del Senegal – racconta la ragazza in video a Fanpage.it – Mi chiamo Ndeye, ma gli amici mi conoscono come Andy e ho due famiglie, una senegalese e una veneta”.

Segno dei tempi e soprattutto della voglia di volere bene. Andy ha mamma e papà del Senegal e i ‘nonni’ veneti doc. Quando lei è nata, nonno e nonna di Schio si sono offerti di tenere la piccola Andy mentre i genitori erano al lavoro e sono diventati, a tutti gli effetti, dei nonni adottivi, orgogliosi della loro nipotina tanto da rivendicarne il ruolo nell’educazione. Hanno aiutato i genitori a trovare lavoro e ad approcciarsi con la lingua italiana, ma soprattutto, hanno voluto bene alla loro bambina.

“Sono il giusto mix tra due culture – racconta Andy – Io sono metà veneta e metà senegalese. Tempo fa mi avevano detto che avrei dovuto scegliere cosa essere, scegliere una cultura di appartenenza, ma non ho potuto farlo, perché sarebbe stato come annullare una parte di me. In me convivono due culture, ognuna con i suoi tratti specifici, ma nessuna prevale sull’altra. Prima di andare all’asilo mia mamma voleva mandarmi in Senegal, per crescere come senegalese, ma i nonni mi hanno tenuta qui. Per me è normale avere due famiglie, non ho mai pensato fosse una cosa strana, quando gli amici mi chiedevano come facevano io pensavo come facevano loro con una famiglia sola. Questa è la mia vita ed è la mia più grande fortuna, perché ho la mente più aperta, ho più visioni sulle cose”.

Concetti che, ascoltati in un italiano perfetto, con un accento veneto molto leggero tipico delle ragazze che studiano in province diverse dalla propria (Ndeye è vicentina ma sta completando l’università in Umbria), sembrano facilissimi. Invece, non si può nascondere una certa difficoltà nei passaggi che hanno portato Andy dall’essere una bambina al diventare una donna.

“E’ stato difficile conciliare due culture che sono l’opposto – ha spiegato con umiltà e consapevolezza – Ognuna delle due pensava di prevalere sull’altra. Nonno mi diceva ‘io ti ho cresciuta’, mamma ‘io ti ho partorita’, è stato difficile per me. Cercavo di trovare un mio equilibrio e loro non mi capivano fino in fondo. Poi ho capito che non ci poteva essere un punto di fusione tra le due famiglie e le due culture, ma a quel punto io ho trovato me stessa, la mia identità. Io sono il mix tra le due culture e non lo sono per scelta, ma perché lo sono e basta. Ho la testa dura e la determinazione dei senegalesi e poi ho la fede, la perseveranza e l’onestà dei nonni veneti”.

A far capire a Ndeye, una volta per tutte, che lei non è solo figlia del Senegal, il disgusto per il pesce, piatto tipico del paese dei suoi genitori. “Quando mi sono resa conto di essere ‘allergica’ al pesce l’ho interpretato come un segnale – ha detto la giovane – Ho capito che in me ci sono sfumature diverse. Per questo ho dedicato un libro ai ragazzi come me, di seconda generazione ‘Allergica al pesce, Hakuna Matata’ (‘Hakuna Matata’ significa ‘senza problemi’). Per i ragazzi che come me hanno pensato di non appartenere a nessuna cultura e che invece devono rendersi conto di averne due e di essere il mix tra le due”.

Eppure Ndeye, con la sua bella storia, il razzismo lo ha conosciuto. Ma ne ha saputo fare tesoro e trasformarlo in una carta vincente. “Ho conosciuto il razzismo verso i 14 anni, alle scuole superiori – ha raccontato – Prima no, perché nella mia famiglia italiana e tra i miei amici, nessuno mi aveva mai fatto notare il mio colore. Me ne sono accorta dopo, ragionandoci. A scuola mi chiedevano se parlavo veneto, se mi abbronzo. In Italia mi vedono come l’africana immigrata, in Africa mi vedono come la bianca italiana. L’Italia ha un fortissimo problema di razzismo che rallenta il paese. Ma ai ragazzi di seconda generazione dico di condividere la propria cultura, di non chiudersi davanti a persone che fanno domande. A volte le persone sono razziste, ma a volte non lo sono e fanno solo domande per conoscere. C’è una linea sottile tra la semplice ignoranza e l’ignoranza razzista, l’unica cosa da fare è non avere paura di condividere la propria cultura. Ragazzi – ha concluso parlando ai giovani che vivono in Italia e si sentono stranieri – quando la gente vi fa domande perché non conosce, perché ignora, rispondete in modo tranquillo, non sono razzisti, vogliono solo sapere e conoscervi. Forza e corajo, che semo tutti de passaggio. Hakuna Matata”.

Anna Bianchini

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