Con tre centri diurni dislocati rispettivamente a Schio, Torrebelvicino e Velo D’Astico, l’Anffas Onlus rimane un punto di riferimento prezioso ed insostituibile per decine di famiglie dell’Alto Vicentino con persone colpite da disabilità: una settantina gli ospiti di queste strutture che negli anni si sono evolute sempre più da luoghi di semplice accoglienza e custodia a veri e propri centri di formazione e crescita personale.

Un obiettivo tenacemente perseguito anche grazie al Presidente Romano Borgo che da oltre dieci anni è al timone dell’Anffas Schio, ma che di fatto in questa realtà c’è sempre stato dentro sin dall’anno della sua fondazione nel lontano 1974.

Borgo vive a Cogollo del Cengio con la moglie Marcella e i due figli Nicola e Alberto: il primo affetto da tetraparesi spastica, il secondo da un ritardo psicomotorio. La loro casa in costa al sole è stata adattata negli anni alle esigenze dei figli intorno ai quali la coppia ha creato un mondo quasi su misura, uniti e forti di fronte ad una situazione che avrebbe abbattuto chiunque: una vita fatta di difficoltà e di dolori ma anche di gioie e sorrisi strappati alle lacrime con una determinazione, una caparbia resilienza e un piglio che le parole difficilmente possono descrivere. Composti e misurati nel condurre un’esistenza fatta di prove continue, dove l’orlo del precipizio è sempre a portata di mano: eppure, nonostante tutto, la rassegnazione ha lasciato il posto alla voglia di rivendicare non solo per i propri figli ma per tutti quei ragazzi fragili una vita che abbia veramente il sapore di un qualcosa che merita di essere vissuto. Oltre l’ostacolo.

Presidente Borgo, dalla fondazione dell’ Anffas Schio sono passati oltre 45 anni: ci dica cos’è l’Anffass oggi e quali ritiene che siano i più importanti obiettivi raggiunti dall’associazione.

“L’Anffas è molto cambiata: prima che un gruppo di genitori coraggiosi la facesse nascere, ricordo che fu condotta un’indagine statistica tra i dipendenti della Lanerossi e si scoprì che una trentina di operai avevano difficoltà a venire al lavoro perchè c’erano in casa figli con disabilità: la scelta era relegarli in una struttura paragonabile ad un ospedale psichiatrico o fare come molti all’epoca che tenevano questi ragazzi chiusi dentro le mura domestiche, con tutte le complicazioni del caso. Con Anffas e la presa di coscienza che nel frattempo andava maturando in quegli anni, abbiamo voluto e creato una struttura che non fosse un mero luogo di custodia e ghettizzazione, ma una grande famiglia dove far crescere queste persone nel rispetto delle loro peculiarità. Ora abbiamo personale sempre più formato e competente, c’è una psicologa e un fisioterapista che girano tra le strutture e promuoviamo un sacco di attività stimolanti e creative. E non ci accontentiamo mai”.

Quest’anno segnato dall’emergenza sanitaria ha provato tutti, ma sappiamo che le categorie fragili hanno vissuto doppiamente la difficoltà. Come è andata?

“E’ stata dura. Ad un certo punto abbiamo dovuto fermarci anche noi: dovete pensare che non tutte le nostre famiglie hanno la possibilità economica di prendersi una badante o comunque un supporto che sollevi genitori spesso molto anziani dalla fatica di gestire casi anche molto complessi. Per fortuna, a parte in un caso, non abbiamo avuto tanti contagi e ora che siamo ripartiti oltre che seguire con rigore i protocolli imposti dall’azienda sanitaria, abbiamo diviso le strutture in cluster: microgruppi con un proprio educatore al fine di contenere e arginare eventuali contagi senza che questi intacchino l’attività di tutta la struttura”.

Il nuovo governo di Mario Draghi ha individuato un ministero dedicato alla disabilità, affidandolo alla vicentina Erika Stefani. Cosa ne pensa e cosa le vuole dire?

“Guardi, in molti coi quali mi sono confrontato proprio in questi giorni si sono lamentati che si tratta di un ministero senza portafoglio, ma io non ho pregiudizi: chiunque abbia la voglia di dedicarsi alle persone più deboli è il benvenuto. Alla ministra Stefani suggerisco di documentarsi bene e di avere tanta voglia di ascoltare: le famiglie spesso forniscono già risposte e chiavi di lettura per migliorare la situazione non solo delle famiglie che hanno un disabile, ma in generale di tante famiglie cosiddette ‘normali’.

Lei è vicentina e non potremo che sperare di incontrarla presto: viva questo suo mandato veramente come una ‘mission’, indipendentemente dalle logiche partitiche e da una politica spesso troppo lontana. E non solo dai disabili”.

Presidente, in mezzo ai tanti traguardi di cui ci ha parlato, le rimane qualche cruccio per un obiettivo sinora mancato?

“A livello di Anffas mi ritengo moderatamente soddisfatto, ma fuori indubbiamente la cosa che più sento mancare è una comunità in grado di offrire adeguati servizi: rinuncerei volentieri a qualche sovvenzione se in cambio potessi avere più servizi e più opportunità per i nostri ragazzi. I soldi una famiglia può anche spenderli male, ma i servizi quelli vanno direttamente a fare del bene al disabile migliorando significativamente la sua qualità di vita. Su questo ci sarebbe così tanto da fare!”

Mi rivolgo all’uomo ancor prima che al Presidente: quanto la preoccupa ciò che sarà di tante persone con disabilità quando non avranno più i loro familiari ad accudirli?

“Beh, questo è un assillo quotidiano per chi come me non ha uno ma ben due figli disabili. Non mi nascondo dietro ad un dito e le confesso che capita di sperare che si spengano un secondo prima di noi. Io e mia moglie non saremo eterni ma vogliamo lucidamente pensare che i nostri ragazzi troveranno strutture capaci di accoglierli trattandoli come persone con una dignità e una specificità. Dobbiamo fare un lavoro tutti assieme per arrivare veramente a questo: una comunità che lascia indietro un disabile, prima o poi lascerà indietro anche qualche altro. Viceversa una comunità che include e si preoccupa a partire dai più deboli, sarà migliore per tutti. Le faccio questo esempio: se una bar costruisce un bel bagno largo e attrezzato per un disabile, il giorno che una persona ‘normale’ si romperà una gamba e dovrà utilizzarlo sicuramente sarà agevolata e andrà meglio.

E’ una conquista di civiltà che mi vede in prima fila finchè ne avrò le forze: partecipo a tante convention da presidente ma anche da genitore per portare le istanze di questo mondo spesso dimenticato oltre che per perorare anche la questione del ‘dopo di noi’ e coi capelli bianchi che ho in testa ormai non mi trattengo più dal dire ciò che penso. Le racconto un aneddoto che la farà sorridere. Qualche tempo fa durante un congresso dell’azienda sanitaria dopo un mio intervento, un relatore probabilmente sentendosi toccato nel vivo mi disse che dovevo guardarmi bene dal fare certe affermazioni, che rischiavo addirittura penalmente. Anzitutto gli risposi che parlo sempre con documenti alla mano, ma che in ogni caso oramai passati i settantacinque anni molte pene vengono convertite ai domiciliari. E solo chi ha dei figli con gravi disabilità sa cosa intendo quando dico che ai domiciliari io ci sono da cinquant’anni. Non ha più fiatato”.

Marco Zorzi

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