“Scuole aperte per i ragazzi che hanno bisogni educativi speciali e che con la dad sono fortemente penalizzati e rimangono inevitabilmente indietro”. Non per tutti insomma, ma per chi ne ha davvero bisogno e rischia di rimanere indietro, senza strumenti per stare al passo con i compagni ed escluso dagli aiuti tradizionali.
Per quei ragazzi che non sono disabili (per loro la scuola si svolge regolarmente in presenza), ma che hanno comunque una condizione svantaggiata e non possono accontentarsi di lezioni da dietro un monitor. Ragazzini che non hanno il computer perché lo usa un altro fratello, che non conoscono la lingua, dislessici, che vivono in contesti problematici: gli ‘ultimi’ insomma, quelli fuori dalle ‘graduatorie’ tradizionali.
Lo chiede a gran voce Giulia Andrian, consigliere comunale scledense del Pd, che con i colleghi di partito si dice non favorevole alla manifestazione per la scuola aperta, ma ci tiene a sottolineare che ci sono situazioni di estrema difficoltà, che hanno per protagonisti giovanissimi, per le quali le scuole e le amministrazioni devono battersi per trovare soluzioni.
Scuola chiusa o scuola aperta? Si chiede Giulia Andrian, che spiega: “Nell’articolo 43 del Dpcm del 2 Marzo leggiamo che ‘Sono sospese le attività dei servizi educativi dell’infanzia e le attività scolastiche e didattiche delle scuole di ogni ordine e grado si svolgono esclusivamente con modalità a distanza’.
Ma il legislatore rispetto al precedente lockdown, consapevole dell’insostenibilità di questa sospensione per alcuni alunni con Bisogni educativi speciali, apre uno spiraglio”.
Lo spiraglio consiste nel poter svolgere lezione o laboratori in presenza o mantenere una relazione educativa che realizzi l’effettiva inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali, garantendo comunque il collegamento on line con gli alunni della classe che sono in didattica digitale integrata.
Il Ministero infatti precisa che i dirigenti possano autonomamente organizzare le lezioni in presenza e la nota ribadisce che dove “per il singolo caso ricorrano le condizioni tracciate nel citato articolo 43 (alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali) le stesse istituzioni scolastiche non dovranno limitarsi a consentire la frequenza solo agli alunni e agli studenti in parola, ma al fine di rendere effettivo il principio di inclusione valuteranno di coinvolgere nelle attività in presenza anche altri alunni appartenenti alla stessa sezione o gruppo classe, secondo metodi e strumenti autonomamente stabiliti e che ne consentano la completa rotazione in un tempo definito, con i quali gli studenti BES (bisogni educativi speciali) possano continuare a sperimentare l’adeguata relazione nel gruppo dei pari, in costante rapporto educativo con il personale docente e non docente presente a scuola”.
“Ancora una volta in Italia il fattore ‘fortuna’ è determinante per avere un’istruzione di qualità, infatti constatiamo una situazione a macchia di leopardo – ha sottolineato il consigliere del Pd – Ci sono istituti che da mesi avevano predisposto gruppi per l’inclusione costruiti intorno agli alunni, con la disponibilità dei compagni di classi. Naturalmente per fare questo sono state messe in campo tutte le risorse disponibili: docenti di sostegno, curricolari e supplenti Covid (le risorse aggiuntive assegnate quest’anno alle scuole).
Un lavoro immane per incastrare le esigenze degli alunni, l’organizzazione degli spazi, dei collegamenti con le videolezioni e le necessarie cautele nei confronti dei lavoratori fragili e delle assenze dovute a isolamento fiduciario o ricoveri. Purtroppo ci sono istituti in cui quest’organizzazione non è stata messa in piedi. Ci sono materne che aprono agli alunni con Bisogni educativi speciali e a piccoli gruppi di compagni a turno, come a Padova e a Vicenza. Ma questo non avviene in tutte le scuole della provincia.
L’autonomia dei dirigenti, che in questi casi sarebbe un punto di forza, rischia di diventare un boomerang e rivelarsi una debolezza se, per tutelarsi da qualsiasi possibile contestazione, il dirigente non coglie gli spiragli che il legislatore gli offre per supportare quegli alunni (e quelle famiglie) per cui la Dad non è praticabile. Anche nei mesi scorsi abbiamo visto situazioni diverse nei confronti delle uscite sul territorio, sempre in base all’interpretazione che i dirigenti avevano fatto delle direttive ministeriali”.
Outdoor education
Uno dei punti più importanti nell’attività scolastica di questo periodo, secondo Giulia Andrian, è la outdoor education, cioè il fare lezione fuori, all’aperto. “Mai come adesso sarebbe il momento giusto per portare in giro i ragazzi, insegnando loro non solo a conoscere i musei, ma anche a vedere dove sono gli uffici della loro città – ha evidenziato – Abbiamo visto sui giornali insegnanti che hanno organizzato lezioni al parco, o scuole che hanno istituito una breve passeggiata giornaliera. Nella maggioranza degli istituti però gli alunni sono rimasti all’interno delle loro aule senza nessuna attività fuori dalle mura scolastiche. Cosa che avrebbe fatto bene all’apprendimento, oltreché alla salute. In questo contesto così variegato nelle risposte date alle famiglie, comprendiamo le ragioni della Rete nazionale ‘Scuole in presenza’, ma vediamo anche con preoccupazione l’impennarsi dei contagi e dei morti. Come possiamo sapere se le scuole sono state o meno i luoghi che hanno favorito il contagio. La mia speranza – ha concluso Giulia Andrian – è che dopo Pasqua le scuole riaprano e che si organizzino per fare il più possibile lezioni all’aperto e nel territorio perché sarebbe un modo per frenare il contagio e riportare l’equilibrio psichico in bambini e ragazzi provati da mesi di isolamento davanti ai computer”.
di Redazione Altovicentinonline