Quando l’uomo non ha i mezzi giusti, potrebbe riuscirci un animale. Il concetto della Pet therapy, la terapia assistita che si avvale dell’uso di animali domestici, rappresenta a volte la chiave per dare una mano a quei pazienti che, non collaborando con gli esseri umani, riescono ad ‘ammorbidirsi’ grazie alla vicinanza di animali d’affezione. Una terapia che si è sviluppata con prepotenza di recente e che si affianca alle cure tradizionali e a trattamenti ed interventi già in corso, che però non sempre bastano per recuperare in pieno il paziente.

A spiegarla è Lino Cavedon, medico in psicologia e specializzato in psicoterapia, invitato dal Lions Club Thiene Host. Dirigente Ulss, Responsabile di Consultorio familiare e del Servizio Tutela Minori, si è occupato di psicologia dello sport, di studio delle coppie adottanti e di procreazione medico assistita. Responsabile del centro pet therapy e membro del centro di referenza nazionale per gli interventi assistiti con gli animali, Cavedon è stato componente della commissione per le linee guida nazionali, cura la formazione degli operatori nelle varie regioni italiane.

La figura migliore quindi per spiegare in che cosa consiste la pet therapy, di cui oggi si parla moltissimo ma che ancora in pochi conoscono.

Il termine pet-therapy, coniato nel 1964 dallo psichiatra infantile Boris M. Levinson, si riferisce all’impiego degli animali da compagnia per curare specifiche malattie. In Italia, questo termine è stato recentemente sostituito con quello più appropriato di interventi assistiti con gli animali (IAA), che consente di distinguere tra diverse tipologie di approcci, a seconda che prevalga la componente cosiddetta ludico-ricreativa, quella educativa o quella terapeutica.

Al presidente del Lions Club Thiene Host Armando Pio Sperotto e ai numerosi invitati, Cavedon ha precisato come la parola inglese “pet” stia precisamente ad indicare l’animale “da affezione” e non un generico animale domestico e ciò non significa che si tratti solamente di piccoli animali. Sono tali ad esempio i cani, ma non tutte le razze indistintamente, in misura minore i gatti, indubbiamente i conigli ed i cavalli, ma anche (con un certo stupore in sala) gli asini. La pet-therapy non costituisce una terapia a sé ma va intesa come intervento sussidiario che affianca e rafforza cure e trattamenti socio-sanitari squisitamente medici. Può essere impiegata su pazienti di quasiasi età ed affetti da diverse patologie con lo scopo di migliorare la qualità della vita, in particolare in assenza di una collaborazione spontanea da parte del paziente. La presenza di un animale permette in molti casi di consolidare il rapporto emotivo con il paziente favorendo il dialogo paziente-animale-medico e stimolando una partecipazione attiva. Gli interventi di pet therapy esigono il lavoro sinergico di una équipe specialistica della quale fanno parte il responsabile del progetto, il referente dell’intervento, il veterinario e il coadiutore dell’animale ovvero colui che lo conosce e ne assicura il giusto comportamento. Da ciò si può comprendere la complessità di un trattamento che all’apparenza può apparire semplice. Non da ultimo è stato evidenziato l’importante ruolo che un animale da affezione ha nella vita di persone in situazioni difficili della loro vita, ad esempio gli anziani ed i vedovi. In molteplici casi la presenza e la compagnia dell’animale costituisce il loro unico riferimento.

R.G.

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