Una vicenda risaputa, una prassi collaudata ormai da anni e anni, un disagio per chi vive la disabilità e finalmente lo sfogo degli operatori socio-assistenziali costretti a lavorare nelle cooperative per conto delle Ulss.

Ha scatenato indignazione, ma il silenzio da parte della politica locale e regionale è assordante, la notizia sulle condizioni da ‘terzo mondo’, in cui sono costrette a lavorare le dipendenti della cooperativa che si è aggiudicata l’appalto per assistere nelle scuole i disabili da 1 a 18 anni.

Ma salta fuori un’altra notizia, ancora più grave: da qualche settimana ha ‘abbandonato’ i disabili dell’Alto Vicentino, la nota psicologa esperta in autismo Elisa Gasparotto.

Anche lei assunta con un contratto tramite cooperativa, seguiva la crescita comportamentale di numerosi bambini autistici, che dopo la diagnosi, come previsto dai Lea, hanno bisogno di supporto psicologico, oltre che neuropsichiatrico, da parte di chi insegni loro le abilità che la condizione di handicap ha negato loro.

Una figura strategica nella riabilitazione di un bambino, che dopo la diagnosi non può essere abbandonato né la sua famiglia può essere lasciata sola in balìa di comportamenti problematici he spesso costringono madri e padri a rimanere chiusi in casa.

La notizia positiva è che gli strumenti validati anche dalla scienza esistono, per fare migliorare gli autistici, che non imitano, hanno scarse relazioni sociali, non riescono ad apprendere autonomamente.

Tuttavia, tutto questo, non solo non viene garantito dalla Sanità, ma quel poco che un tempo era erogato come servizio dalla ex Ulss4, sembra ormai sparito. E se i genitori più ‘anziani’, forti del dolore della diagnosi e di anni di dura convivenza con la disabilità dei figli, cercano di darsi da fare cercando centri diurni a cui appoggiarsi e le cui liste d’attesa sono chilometriche, le famiglie più giovani, che si affacciano al mondo della disabilità, dopo aver saputo che la psicologa Gasparotto ha vinto un concorso che la porterà fuori provincia, stanno vivendo un vero e proprio dramma.

La situazione nell’Alto Vicentino ha raggiunto il livello di guardia, con un misto di esasperazione, non ascolto e braccia che si allargano da parte del personale di turno. E ancora silenzio, da parte di chi dovrebbe dare delle risposte, che stride con i proclami politici di chi parla di attenzione al mondo della disabilità e rispetto delle leggi. Prendersi carico di un disabile è legge, non è il capriccio di un genitore. Avere dei punti di riferimento in caso di comportamenti autolesionistici, ormoni impazziti in caso di adolescenti, iperattività che rende questi ragazzi ‘schegge impazzite’, non sono favolette, ma la realtà di decine e decine di famiglie che ad un certo punto finiscono al tappeto perché hanno esaurito le forze.

Se si pensa che in contratti delle cooperative costringono quelle figure che li accompagnano nella crescita ad andare via in cerca di altri lavori e che adesso viene a mancare anche quella psicologa esperta che era comunque un interlocutrice fondamentale, si può solo immaginare l’inferno emotivo di madri e padri scoraggiati.

“Ho un figlio di 7 anni con sindrome asperger, inizia a rendersi conto della sua diversità – racconta una mamma scledense – Mi hanno detto che la psicologa che seguiva mio figlio non c’è più. Sono sprofondata nella disperazione: adesso come faccio? A chi devo rivolgermi? La neuropsichiatra mi ha detto che, sempre tramite cooperativa, dovrà essere assunta una nuova figura, ma nessuno, tra coloro che vivono la disabilità, sa che cosa significa. Per comprendere un autistico, valutare abilità e deficit occorrono anni e anni, anche di colloqui dolorosi da parte di noi genitori. La scienza dice chiaramente che la continuità delle figure che seguono i nostri bambini è determinante per la loro riabilitazione. Con questo va e vieni di operatori e psicologi appartenenti a questa e quella cooperativa, è impossibile garantire un percorso per i nostri figli e dopo un po’, i soldi finiscono e non puoi rivolgerti sempre al privato. Le disabilità mentali – conclude la mamma – durano un’intera vita e noi genitori siamo costretti a lasciare il lavoro perché in assenza del supporto delle istituzioni, chi si occupa dei nostri figli speciali?”

“Sono veramente arrabbiata, delusa, sdegnata – commenta la mamma di Corrado, 17 anni di Thiene, che è rimasta sconcertata appena ha saputo che la psicologa Gasparotto è andata a lavorare altrove – Ci dicono che mancano le figure professionali, che i bandi vanno deserti, ma questa professionista che seguiva da anni, l’hanno lasciata andare via abbandonando dei ragazzi che avevano urgente bisogno di lei. Nessuno si è preso la briga di avvisarci, lo abbiamo saputo per caso, noi mamme ci siamo confrontate e siamo ormai arrivate alla conclusione che qualcuno dall’alto ha deciso di smantellare quei servizi che un tempo erano per noi un riferimento ed erano fondamentali per i nostri bambini. In pochi lo sanno, ma sono sempre più piccoli e ancora in età scolare, i ragazzi che vengono iscritti nei centri diurni per la stanchezza di noi genitori che non riusciamo a gestirli quando iniziano a farsi grandi. Questa è una sconfitta, perché la scienza ha creato degli strumenti che, se i Lea venissero realmente applicati, potrebbero stare in famiglia fino a quando diventano adulti. Diciamo la verità – conclude la mamma di Corrado – al di là dei proclami politici, c’è scarsa volontà di affrontare il problema della disabilità. Basti pensare al Ministero senza portafogli e agli investimenti che si fanno negli ospedali, agli sprechi e agli spot di questo o quel politico. Eccellenza di qua, eccellenza di là, ma i nostri bambini e ragazzi sono come dei pesi per la società. Ci dicono continuamente che non ci sono risorse, non l’abbiamo chiesto noi di essere genitori di disabili. Facciamo appello anche agli assessori ai Servii Sociali dei Comuni dell’Alto Vicentino, perché battano i pugni nei tavoli opportuni, nelle sedi istituzionali dove si decide e che la smettano di dispiacersi in maniera sterile e inconcludente quando leggono le nostre storie. Siamo stufi pure di raccontarle, perché è un’umiliazione che poi non porta nessun risultato. Anche ai giornalisti locale c’è da fare un severo rimprovero: anziché occuparvi di pettegolezzi politici, o di stendere tappeti rossi a questo o a quello, iniziate a parlare di noi. Anche noi facciamo notizia”.

Anna Bianchini

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